Da alcune settimane il parlamento europeo sta discutendo di una riforma delle agenzie di rating, sulla base di una proposta del commissario al mercato interno Michel Barnier. L'uomo politico francese vuole regolamentare un settore accusato di avere avuto una parte di responsabilità nella crisi debitoria. Da un lato, non avrebbe avvertito con sufficiente anticipo dei rischi economici e finanziari. Dall'altro, avrebbe peggiorato la situazione con declassamenti a ripetizione. E' curioso ricordare che gli storici fanno risalire la nascita di queste società ai primi dell'Ottocento in Francia, il paese che in questi mesi ha più demonizzato i ratings.
L'abitudine di dare voti ai debiti sovrani mette radici nel 1918. Si interrompe durante la seconda guerra mondiale e riprende negli anni 70, quando lo shock petrolifero provoca un aumento del debito pubblico in molti paesi. Le agenzie di rating sono criticate negli anni 80 in occasione delle crisi sudamericane, e negli 90 in occasione delle crisi asiatiche. Nei due casi non si accorgono dei rischi finanziari e del prossimo disastro. Molti hanno avuto gioco facile nel notare che Enron godeva ancora di un rating A il giorno del fallimento. In più di una circostanza, in questi anni di crisi debitoria, la tempistica di un declassamento ha fatto alzare più di un sopraciglio. Relatore della proposta Barnier al parlamento europeo è l'italiano Leonardo Domenici, ex sindaco di Firenze e deputato del partito democratico. In un incontro con la stampa qualche giorno fa ha dato alcune linee-guida. Tra le altre cose il parlamentare vorrebbe che si potesse impedire alle agenzie di rating di dare voti non richiesti agli stati membri. Il problema più evidente è che abolire il rating per i debiti sovrani europei rischia di pesare sulla domanda internazionale di obbligazioni europee, tenuto conto del ruolo che il voto ha a livello mondiale: nonostante tutto, il rating è un metro di giudizio ormai radicato. Nei giorni scorsi, tre associazioni imprenditoriali tedesche hanno scritto un rapporto al governo federale spiegando che le proposte regolamentari della Commissione rischiano "di penalizzare la funzionalità e la competitività dei mercati obbligazionari europei", secondo un recente articolo di Die Welt. In gennaio, all'indomani del maxi-declassamento della zona euro deciso da Standard & Poor's, il commissario agli affari economici Olli Rehn aveva spiegato con malcelato fastidio che le agenzie di rating "giocano molto secondo le regole del capitalismo finanziario americano". L'aggettivo sfrenato o selvaggio non è stato pronunciato, ma era sottinteso. Viceversa, Werner Hoyer, il neopresidente tedesco della Banca per gli investimenti europei (BEI) ed ex segretario di stato agli Esteri, ha spiegato proprio oggi: "Siamo molto contenti del nostro rating Triplo A. E siamo felici di essere oggetto dell'analisi delle agenzie di rating: ci spinge a essere cauti nella nostra gestione". In questo senso, le critiche della classe politica europea sembrano più che altro riflettere la loro impotenza nel correggere le debolezze strutturali dell'unione monetaria.
(Nell'immagine, Eugène-François Vidocq – 1775-1857 – in una stampa dell'epoca)
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