La crisi finanziaria ha messo in ginocchio non pochi governi europei, ma mai finora era riuscita a trasformare il rapporto tra gli stati membri della zona euro in modo così drammatico. La scelta del primo ministro George Papandreu di non organizzare un referendum per tastare il polso dell'opinione pubblica greca sul futuro della Grecia nell'unione monetaria è da imputare – tra le altre cose – anche alla pressione dei suoi partner.
Riuscirà George Papandreu a fare accettare ai greci che un voto popolare non si terrà nel loro paese perché così ha chiesto l'Europa? Pubblicamente sta cercando di spiegare che il voltafaccia è dovuto più a un cambiamento di posizione dell'opposizione conservatrice che a pressioni europee. Eppure stiamo assistendo a una evidente riduzione delle sovranità nazionali, soprattutto dei paesi più fragili. Per molti versi è il riflesso benefico di un controllo reciproco che dopo molti anni è tornato d'attualità in una unione monetaria tra stati indipendenti. Il problema è che forse la transizione sta avvenendo in modo disordinato, con rischi evidenti che la tendenza si trasformi in un boomerang, provocando i sentimenti anti-europei in molti paesi. Come quelle scatole utilizzate nei traslochi su cui c'è scritto FRAGILE, il fenomeno va "maneggiato con cura" fin tanto che la democrazia rimarrà a livello nazionale. Il momento è delicatissimo: l'abbandono della sovranità nazionale sta facendo passi da gigante, ma se non è accompagnato da una nuova legittimità popolare rischia di scappare drammaticamente di mano, in Grecia oggi, in altri paesi domani.
(Nella foto, il premier greco George Papandreu durante un recente vertice europeo)
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