Piccolo rapporto di fine missione – Il mio arrivederci alla Germania

Dopo dieci anni di corrispondenza da Francoforte, il mio soggiorno tedesco volge al termine. Prima di lasciare la Germania ho scritto questo articolo, pubblicato sul Sole/24 Ore il 7 settembre 2011. In futuro, questo blog rimarrà attivo, ma tratterà di temi diversi.

B.R.

A prima vista non vi sono concetti più dissimili, più incompatibili. Come è possibile associare la ricca e potente Germania al sentimento, talvolta vigliacco, della paura? Eppure, mentre mi accingo a lasciare questo paese dopo dieci anni di corrispondenza e tento di trovare un filo logico agli avvenimenti dell’ultimo decennio proprio la paura per un futuro ignoto e incerto potrebbe essere la chiave di lettura più seducente per capire la vera natura dei tedeschi. E’ il destino di un popolo che più di altri in Europa affronta l’esistenza interrogandosi perennemente sulle conseguenze delle proprie azioni, come il Faust di Goethe deve difendersi dalle tentazioni di Mefistole.

“L’impero dei mari è agli inglesi, quello della terra ai francesi, quello dell’aria ai tedeschi”, diceva Johann Paul Friedrich Richter. Aria in questo caso è sinonimo di pensiero e di dialettica. In quanti altri popoli è così diffusa la capacità di vivisezionare i problemi più ardui, di analizzare astrattamente i pro e i contro di una qualsiasi decisione? In quanti altri paesi, il dibattito pubblico è così approfondito, così poco fazioso, così lungimirante? E’ l’immaginazione più che lo spirito che caratterizza l’anima tedesca. E quando all’immaginazione viene lasciato libero corso l’emotività prende il sopravvento, incubi e angosce diventano il naturale corollario.


In dieci anni la Germania ha compiuto una transizione epocale dalla grande stagnazione alla grande ripresa, superando di slancio anche la grande recessione. Entrato nell’euro con un marco sopravvalutato e oberato dai costi dell’unificazione, il paese si è imposto una straordinaria cura dimagrante. Le liberalizzazioni volute dal cancelliere Gerhard Schröder sono le conseguenze di una Germania orgogliosa e intelligente, ma anche angosciata da un avvenire che nei primi anni del decennio scorso appariva drammaticamente in forse. Oggi il paese è tornato competitivo; ma la domanda interna sembra quasi congelata, il riflesso di una società troppo preoccupata per consumare.

Molte, forse tutte le scelte tedesche, piccole e grandi, sono radicate nel desiderio innato di evitare imprevisti e di dare certezze al futuro. La stessa grande coalizione che ha guidato il paese tra il 2005 e il 2009, il secondo esperimento di questo tipo nel secondo dopoguerra, è il risultato tanto di un voto dall’esito inconcludente quanto del desiderio di darsi comunque la certezza di un governo. Lo stesso vale per la guerra in Afghanistan, voluta non solo perché così era stato deciso tra gli alleati occidentali ma perché a nessuno in Germania era sfuggito che gli attentati del 2001 avevano una pericolosa e imbarazzante radice amburghese, tale da mettere in dubbio la Bürgersicherheit, la sicurezza dei cittadini tedeschi.

La stessa cultura della stabilità di cui tanto si parla in Europa è tanto una dottrina economica quanto un pilastro sociale. In un paese che offre centinaia di polizze assicurative diverse – per premunirsi contro un viaggio aereo cancellato all’ultimo minuto o per assicurarsi contro le spese di un’eventuale causa giudiziaria – l’obiettivo è sempre di avere certezze. Il tedesco è convinto che il futuro non sia necessariamente in grembo a Giove; è piuttosto uno spazio temporale che può essere modellato a fronte di un presente sfuggente e inafferrabile. “L’incredibile spensieratezza” degli italiani, notata da Goethe nel suo Viaggio in Italia, non appartiene ai tedeschi. Nello stesso modo in cui il contratto assicurativo diventa uno strumento per arginare l’imprevisto e preparare l’avvenire, la cultura della stabilità serve a dare concretezza alle proprie ambizioni e ai propri desideri.

Diceva Goethe: “Das erste steht uns frei, beim zweiten sind wir Knechte", solo il primo passo è libero; del secondo si è schiavi. Le regole diventano a questo punto un’intelaiatura che dà certezze, ma di cui al tempo stesso si diventa ostaggio. Das geht nicht, Così non va, amano dire i tedeschi con un certo malcelato compiacimento a chi tenta di eludere le regole, anche quelle più banali. E lo stesso ha detto l’establishment tedesco in questi anni di crisi economica: no al sostegno finanziario alle banche in difficoltà, no agli aiuti ai paesi in crisi, no agli acquisti di obbligazioni da parte della Banca centrale europea. Poi le cose sono andate diversamente.

Quando arrivai in Germania, nel 2000, il paese stava vivendo nervosamente la vicina introduzione dell’euro. Sullo Zeil, la lunga via pedonale che attraversa il centro di Francoforte, imbonitori della prima ora sventolavano manifesti improbabili a difesa del vecchio deutsche Mark. Un anziano reduce della Seconda guerra mondiale annunciava, come un moderno Nostradamus, destini malefici. Oggi a dieci anni di distanza, i giornali popolari soffiano sul fuoco delle preoccupazioni della kleine Leute, della piccola gente. Accusano la moneta unica di tutti i mali e guardano alla crisi greca come al detonatore di un nuovo declino tedesco.

Nulla sembra cambiato. La paura continua a farla da padrone. In realtà, non è vero che i sentimenti tedeschi nei confronti della moneta unica siano rimasti immutati, né soprattutto che siano univoci. I giornali amano i luoghi comuni. Cavalcare l’euroscetticismo della Germania profonda è facile e comodo. Eppure, nel 2002, la Germania fu l’unico paese europeo a introdurre l’euro con un big bang. Già in febbraio il marco tedesco era off limits, mentre ancora oggi gli estratti-conto delle banche francesi a Nantes o a Bordeaux indicano gli ammontari in franchi. In effetti per molti tedeschi la moneta unica è stata un modo per superare la loro precedente unificazione monetaria, quella controversa del 1990.

Lo stesso può dirsi per la drammatica crisi debitoria che sta scuotendo le fondamenta dell’unione monetaria. Nello stesso modo in cui il dramma di queste settimane dà ragione al vecchio reduce dello Zeil, i dubbi amletici dell’establishment tedesco sul se e sul come aiutare la Grecia e gli altri paesi della zona euro confermano le preoccupazioni di chi teme una Germania euroscettica, troppo grande per accettare l’equilibrio delle potenze in Europa, troppo piccola per avere ambizioni realmente mondiali. Ma come non ammettere che dopo tanti tira-e-molla il paese ha accettato di aiutare i suoi partner europei.

L’innata paura del futuro spiega quindi successi e debolezze dei tedeschi. Mentre lascio la Germania, l’Europa si interroga su come questo paese gestirà i prossimi delicati passaggi dell’Unione: si arrenderà come ha fatto finora a un lento processo di integrazione, o si ripiegherà su se stessa nel tentativo disperato di ritrovare la certezza delle regole e la sicurezza dei principi, mentre il futuro – se possibile – appare più incerto che mai? In De l’Allemagne, Madame de Staël spiega che “in Germania bisognerebbe dare un centro e dei confini a questa eminente facoltà di pensare che si eleva e si perde nella vaghezza, penetra e sparisce nella profondità, si neutralizza a forza di imparzialità, si confonde a forza di analisi”. Se l’avvertimento ha ancora un senso, il futuro del paese, e dell’Europa, è tanto in mano dei tedeschi quanto dei loro vicini.

B.R.

NB: GermaniE è anche su Facebook

  • laura |

    ciao Beda! sigh sob

  • cooksappe |

    auf wiedersehen!

  • Piero |

    i tedeschi non hanno un sentimento europeistico, loro vogliono vincere la guerra economica dopo avere perso quella militare, se quindi il popolo tedesco non e’ ancora maturo per tali scelte e i politici seguono le loro paure, non ci dobbiamo illudere che la Germania possa aiutare i paesi deboli economicamente ma forti dello spirito europeistico.
    Nel caso italiano la Germania e’ stato sempre un mercato per i nostri prodotti italiani, oggi non e’ piu’ così per la moneta unica, anzi e’ il nostro paese mercato dei prodotti tedeschi, quindi vantaggi economici la Germania ne ha avuti con l’euro e quindi non capisco questo loro sentimento se non e’ portato da altri fini di conquista economica di aziende sane europee.
    La bce ha, secondo l’articolo di oggi della Isabella Bufacchi, un margine di 1600 mld di euro per acquisto di titoli pubblici per pareggiare il bilancio Fed, quindi procediamo subito ad un acquisto proporzionale dei paesi euro ad un 20% del debito pubblico cosi’ la speculazione viene sconfitta.

  • Daniele S. |

    Grazie Beda Romano, il suo blog è stato interessantissimo, sicuramente un strumento utilissimo a far capire a tanti itaGLiani che la Germania è un paese molto più complesso di ciò che sembra all’apparenza. La Germania è un gran bel paese, un paese che secondo me ha partorito le basi della società sviluppata: la cultura Protestante, l’etica del lavoro, il non darsi mai per vinti e la proiezione verso il futuro.
    Grazie Beda Romano e grazie Germania (o meglio Germanie)!

  • temporary manager |

    Lei ha lasciato la Germania ma sembra che oggi anche la Germania abbia lasciato noi al nostro destino.

  Post Precedente
Post Successivo