Nei giorni scorsi sono andato a Helsinki per una riunione della Banca centrale europea. Ne ho approfittato per informarmi sui Veri Finlandesi, il partito populista che alle ultime elezioni ha avuto il 19% dei voti e oggi che si oppone agli aiuti finanziari al Portogallo (e forse anche alla Grecia se questa avrà bisogna di nuovi aiuti nel 2012, come possibile). Il salvataggio del governo portoghese in crisi debitoria richiede il benestare unanime degli stati membri dell’Unione. Un No di Helsinki sarebbe catastrofico. Il successo dei Veri Finlandesi è in parte dovuto al rigetto dei partiti tradizionali coinvolti negli anni scorsi in alcuni clamorosi scandali politici. Detto ciò, non è facile capire il risentimento anti-europeo di una parte della popolazione finlandese. I miei stessi interlocutori, anche loro un po’ sorpresi, mi hanno fatto notare che dopotutto la comunità immigrata è piccola e innocua, il paese è economicamente stabile, la società ricca ed educata. Eppure i Veri Finlandesi, guidati da Timo Soini, riescono a suscitare simpatie che vanno ben oltre le frange estremiste che esistono in tutti i paesi europei. Assistendo a un convegno dedicato ai 200 anni della Banca centrale finlandese, mi sono chiesto se la spiegazione del successo di questo partito non stia per caso nella storia della Finlandia, una lingua di tundra scandinava stretta per molti secoli tra le due grandi potenze della regione, la Svezia e la Russia. Tra il 1154 e il 1809 il paese alla frontiera con il grande circolo polare artico è una provincia del Regno di Svezia. Ancora oggi lo svedese è una lingua ufficiale e la minoranza di origine svedese rappresenta il 5,5% della popolazione. Tuttora nella aule di tribunale l'atto di giuramento risale a un codice promulgato a Stoccolma nel 1734. Complici le guerre napoleoniche, nel 1809 il paese è conquistato dall'esercito zarista. Il dominio russo lascia un margine di autonomia al Granducatodi Finlandia – nel 1811 lo zar Alessandro I fonda la banca centrale finlandese che prima emette copechi russi e poi dal 1860 marchi finlandesi –, ma il potere di San Pietroburgo si estende da Pudasjärvi a Turku ed è indubitabile. A parte il riformatore Alessandro II, che nel 1861 ha deciso di liberare i servi della gleba, tutti gli zar tentano di russificare la regione.
Approfittando del disordine provocato dalla rivoluzione bolscevica i finlandesi decidono di proclamare la loro indipendenza il 6 dicembre 1917, poi accettata nelle settimane successive. Ma la nuova libertà è destinata a durare poco. Nel novembre del 1939 la Finlandia subisce di nuovo l’invasione da Est: è la guerra d'inverno nella quale la Finlandia perde circa il 10% del suo territorio. Pur di respingere l’avanzata dell’Unione Sovietica, Helsinki accetta l’aiuto tedesco che durante il conflitto garantisce all’esercito finlandese armi e viveri per lottare contro l’Armata Rossa. Ufficialmente, alla fine della Seconda guerra mondiale, la Finlandia ritrova la sua indipendenza; nei fatti però cade sotto l’influenza sovietica, senza per questo diventare un paese satellite dell'URSS. Durante la Guerra Fredda il grande timore di molti paesi occidentali alla frontiera con la cortina di ferro è di subire lo stesso destino che i tedeschi definiscono negli anni 60 Finnlandisierung, finlandizzazione. Dopo la Caduta del Muro di Berlino e lo sbriciolamento dell’Unione Sovietica, la Finlandia aderisce prima all’Unione Europea nel 1995 e poi entra nel 1999 con il gruppo di testa nella zona euro, quasi volesse finalmente voltare le spalle alla minacciosa e ingrombrante presenza russa al di là del Golfo di Finlandia. In questa contesto, il sentimento anti-europeista di una parte della popolazione appare oggi particolarmente sorprendente. Ai miei interlocutori a Helsinki ho chiesto se la storia del paese possa spiegare almeno in parte il successo elettorale di Soni, in altre parole se molti finlandesi diffidono oggi dell'Unione Europea nello stesso modo in cui diffidavano in passato dell'Unione Sovietica. Non ho ricevuto risposte chiare. Forse però proprio la paura di impegnarsi in un salvataggio portoghese o greco costoso e complesso è percepito da molti elettori come un pericolo per il futuro economico e in ultima analisi per la sovranità del paese.
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(Nella foto, Timo Soini, 49 anni, in campagna elettorale)