FRANCOFORTE – I nostri paesi sono entrati nella zona euro “per condividere un destino comune”. La frase è stata pronunciata lunedì dal presidente Jean-Claude Trichet davanti al Parlamento Europeo. A nessuno è sfuggito che l’abbia scandita non solo in inglese e in francese, ma a sorpresa anche in tedesco. L’ammonimento era rivolto alla Germania. L’uomo che in Francia è noto per essere “più tedesco di un tedesco” è uscito allo scoperto: mai finora la Banca centrale europea è stata così decisa nel criticare il suo azionista di maggioranza.
Non passa giorno ormai senza che la Bce chiarisca senza giri di parola la sua posizione sul futuro della Grecia, in piena crisi debitoria. L’istituto monetario – nato appena 10 anni fa per volontà tedesca sul modello della Bundesbank – non vuole che a salvare il paese mediterraneo sia il Fondo monetario internazionale. Lo ha detto Trichet, ribadito il nuovo vice presidente in pectore Vítor Constâncio, ripetuto Lorenzo Bini Smaghi, membro come il presidente del comitato esecutivo della Bce, in una lunga intervista al settimanale Die Zeit.
Chiedere l’intervento dell’Fmi, come vorrebbe la Germania, “sarebbe dannoso per la stabilità” della moneta unica. “L’immagine dell’euro – ha aggiunto Bini Smaghi – sarebbe quella di una moneta capace di sopravvivere solo con l’appoggio esterno di un’organizzazione internazionale”. Coinvolgere il Fondo nel salvataggio della Grecia significherebbe affermare che “non vi è alcun incentivo a seguire le regole europee, perché tutti a questo punto saprebbero che in caso di necessità potrebbero rivolgersi all’Fmi”.
Riferendosi poi al rischio di ricorsi alla Corte costituzionale tedesca, nel caso di un salvataggio in violazione dei Trattati, Bini Smaghi ha poi aggiunto: “Sarò provocatorio: la gente dovrebbe ricorrere alla Corte costituzionale se il Fondo fosse chiamato alla riscossa; non se l’Unione organizzasse un sostegno bilaterale” per salvare la Grecia. L’intervista del banchiere italiano e le uscite di altri esponenti della Bce segnano un cambiamento di tono nel rapporto tra l’istituto monetario e la Germania, al di là di come finirà la partita greca.
Neppure la decisione franco-tedesca all’inizio del decennio di ammorbidire le norme del Patto di Stabilità dinanzi alla deriva dei deficit aveva provocato reazioni così dure. Il problema non è il salvataggio della Grecia, ma l’opportunità di un intervento dell’Fmi. La Bce teme che l’arrivo del Fondo nella gestione di un’economia della zona euro posso incrinare le regole sui conti pubblici e influenzare la politica monetaria. Agli occhi di molti banchieri, proprio il paese che più sostiene la stabilità dell’euro rischia con la sua politica di minarne la credibilità.
“E’ paradossale – commenta un economista –: la Germania sembra non rendersi conto che la sua posizione rischia di indebolire l’euro, il Patto e la Bce in un colpo solo. Immaginiamo a un certo punto che la Grecia fallisca, provocando un crollo dei mercati. A quel punto la Bce sarebbe costretta a ridurre il costo del denaro in emergenza, mettendo a repentaglio la sua credibilità di unica istituzione federale europea”. Nel contempo però il momento mostra come la Bce si sia affrancata dalla sua guida tedesca.
Nel dibattito di queste settimane, l’istituto monetario ha avuto il coraggio di prendere le distanze dagli esponenti tedeschi del consiglio direttivo. Sull’opportunità di salvare la Grecia, Trichet si è scontrato con Jürgen Stark, contrario a qualsiasi aiuto. Sulla possibilità di creare un Fondo monetario europeo, ha sconfessato Axel Weber, che aveva bocciato l’idea proposta dal suo stesso governo. Oggi non esita a confrontarsi direttamente con il cancelliere Angela Merkel su un eventuale intervento dell’Fmi.
Un giorno, negli anni 90, il direttore di Le Monde Jean-Marie Colombani apostrofò Trichet, chiedendogli a bruciapelo: “E’ sicuro di non lavorare per il Re di Prussia?”. Erano i tempi quando l’allora governatore della Banca di Francia militava per il franco forte e una politica monetaria restrittiva, contro la volontà di molti governanti del suo paese. Oggi il presidente della Bce dimostra che il suo referente è l’Europa, non la Germania. Il suo successore, dal novembre del 2011 in poi, avrà il compito, tra le altre cose, di salvaguardare il suo lascito.
B.R.