La crisi debitoria greca continua a dominare il dibattito di politica economica in Germania e in Europa. Un sostegno al governo di Atene appare probabile, visti i rischi di un effetto-domino che travolgerebbe gli altri anelli deboli della zona euro. Salvare però la Grecia è solo uno dei tasselli del grande problema provocato dallo sconquasso finanziario del 2008. Da più parti in questi giorni – a cominciare da George Soros sulla CNN o da Jacques Attali sull’International Herald Tribune – c’è chi insiste, alla luce della crisi, per migliorare drasticamente la cooperazione istituzionale nella zona euro. Attali parla della nascita di un ministro delle Finanze; Soros invece sottolinea la necessità di creare un bilancio federale attraverso la nascita di obbligazioni europee. Più in generale il presidente francese Nicolas Sarkozy sostiene che la zona euro ha bisogno di un "governo economico europeo", che dia un'anima più politica a una unione monetaria tra stati sovrani. Da Berlino l’ipotesi è accolta con cautela. Finora la Germania ha sempre respinto l’idea di un governo economico dell’unione monetaria. Agli occhi tedeschi, basta il Patto di Stabilità per assicurare il coordinamento tra i paesi. La crisi greca dimostra naturalmente che le regole attuali non sono sufficienti. Di recente durante una conferenza stampa insieme a Sarkozy, Angela Merkel ha pronunciato per la prima volta l’espressione “governanza economica", sostenendo la necessità di rafforzare il coordinamento tra le politiche economiche (nella foto i due in un recente incontro). In un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, giovedì 25 febbraio, il cancelliere è tornato sull’argomento.
Riferendosi al Patto di Stabilità, ha spiegato che nel trattato “vi è già uno strumento sostenibile che garantisce il coordinamento delle politiche di bilancio e la stabilità dell’euro”. E ha poi aggiunto: “Sarebbe sbagliato avere politiche economiche coordinate a livello di zona euro (…) perché siamo strettamente legati ai nostri altri vicini (dell’Unione, ndr) attraverso i flussi commerciali”. Almeno due sono i motivi che spingono la Germania a guardare all’Unione europea piuttosto che all'Unione monetaria, in contraddizione con il principio delle cooperazioni rafforzate. Da un lato, c’è il timore di mettere a repentaglio l’indipendenza della Banca centrale europea con un contraltare politico all’istituto monetario. Dall’altro, il governo federale non vuole contribuire a eccessive differenze tra l’Unione a 27 e l’Unione a 16 per paura di creare due ambiti troppo distinti che possano un giorno complicare la vita dei suoi esportatori. Di recente poi il quotidiano Handelsblatt rivelava i timori della Germania di assistere a un eccessivo rafforzamento del Parlamento Europeo “con una pericolosa modifica degli equilibri di potere tra le istituzioni dell’Unione”. Secondo un nuovo protocollo d'intesa firmato tra la Commissione e l'Assemblea all'inizio di febbraio, le autorità comunitarie devono rispondere entro tre mesi alle richieste d'iniziativa legislativa presentate dal Parlamento. L’establishment tedesco teme che questo nuovo potere parlamentare possa indebolire l’influenza dei governi nazionali in materia economica. La reazione, segnata da una vena nazionalistica, è interessante. L'impressione è che, se si rivelasse indispensabile, la Germania verrà probabilmente in aiuto alla Grecia; convincerla a rafforzare in modo significativo la cooperazione politica in campo economico è un'altra partita che oggi appare tutta in salita.