La questione dell'integrazione in Germania è un tema ricorrente. Oggi degli stranieri, ieri dei tedeschi. Su questo argomento, Armin Laschert (nella foto a destra) ha offerto in un bel articolo per la Frankfurter Allgemeine Zeitung una chiave di lettura originale. Il ministro democristiano per l'Integrazione del Nord-Reno Vestfalia ha affrontato la questione dopo che Thilo Sarrazin (nella foto a sinistra) ha rimproverato ai turchi di Berlino di non volersi integrare. Il banchiere centrale della Bundesbank ed ex uomo politico socialdemocratico ha puntato il dito contro i molti immigrati che nel paese vivono senza parlarne la lingua, senza condividerne i valori, senza partecipare pienamente alla vita nazionale. Il problema non è nuovo, né a senso unico. Certo, in alcune città tedesche l'integrazione è limitata, ma molte comunità si sono inserite particolarmente bene e partecipano in prima persona alla crescita economica e culturale tedesca.
Non solo fu creato un ministero dedicato ai profughi e ai loro problemi, ma furono anche varate due leggi – la Lastenausgleichsgesetz del 1952, la Bundesvertriebenengesetz del 1953 – e furono investiti 150 miliardi di marchi per aiutare i Vertriebenen, stranieri in patria. La seconda unificazione tedesca è quella del 1989 quando circa 18 milioni di tedeschi orientali sono entrati a far parte della Repubblica Federale dopo oltre mezzo secolo di dittatura prima nazista, poi comunista. Va sempre di moda sottolineare l'Entfremdung, l'estraniazione tra Est e Ovest, ma come non ricordare l'unione monetaria tedesca del 1990, l'imposta di solidarietà del 1991 e il trasferimento di risorse – 1,2 miliardi di euro dal 1990 al 2004 – tra le due regioni del paese. Bene o male milioni di ex cittadini della DDR si sono rifatti una vita, abituandosi alle regole della democrazia. La terza unificazione tedesca, secondo Laschert, è quella che riguarda i numerosi immigrati che abitano in Germania. Il 38% di coloro che oggi hanno meno di sei anni ha radici straniere, in altre parole ha genitori o nonni nati all'estero. L'uomo politico democristiano fa notare che in alcune città il 40% della popolazione destinata ad andare in pensione nel 2025 ha origini straniere. E' per molti versi l'élite del futuro. Naturalmente tra le unificazioni precedenti e quella a cui è chiamata oggi la Germania c'è una differenza importante: la lingua, che sia i Vertriebenen dei territori orientali che i cittadini della DDR avevano in comune con i tedeschi della Repubblica Federale, a differenza degli immigrati di oggi. Ciò detto, Laschert è convincente quando sostiene che l'integrazione degli stranieri sarà realmente possibile solo quando la Germania tornerà a essere una Aufsteiger Republik, una repubblica fondata sull'ascesa sociale. Da questo punto di vista, l'esperienza tedesca potrebbe forse contenere suggerimenti per altri paesi europei, a iniziare dall'Italia.