La vicenda Opel-Fiat è ormai un banco di prova per il futuro dell'Unione. Dietro ai ripetuti viaggi dell'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, in Germania; dietro alle proteste dei sindacati tedeschi e italiani; dietro ai tira-e-molla della classe politica a Roma e Berlino si nasconde una sfida tutta europea. Le trattative per una fusione tra Opel e Fiat stanno tenendo banco da alcune settimane. L'obiettivo è di chiudere la partita entro fine mese. La casa automobilistica italiana si sta scontrando contro l'opposizione dei sindacati tedeschi e del partito socialdemocratico, contrari alla fusione italo-tedesca per paura di sovrapposizioni e di tagli al personale. Altri osservatori mettono in dubbio la bontà economica di questa iniziativa: ricordano i debiti della Fiat, le difficoltà di integrazione culturale tra aziende molto diverse tra loro, il fallimento della collaborazione italo-tedesca quando Opel era una filiale di General Motors all'inizio del decennio. Mettiamo da parte per un attimo queste considerazioni, e guardiamo all'operazione in un'ottica politica.
Il mercato automobilistico deve subire una profonda ristrutturazione: le aziende sono troppo numerose, il livello di sovraccapacità è troppo elevato. Insieme Fiat e Opel hanno 18 impianti in 8 paesi europei. Gli esperti sono convinti che debba esserci un consolidamento in un settore che in Europa produce oltre sei milioni di auto all'anno. Il quotidiano tedesco Handelsblatt calcola che nel continente 26 marchi usino complessivamente 144 stabilimenti. L'iniziativa della Fiat può non convincere del tutto da un punto di vista finanziario, ma è certamente un primo possibile tassello di una riorganizzazione a livello mondiale. Le carte sono in mano all'Italia e alla Germania, che possono influenzare i negoziati e cogliere l'occasione per creare un grande gruppo europeo. Ma altri Paesi sono coinvolti. La Gran Bretagna ha espresso preoccupazione per il futuro delle fabbriche inglesi di Opel; lo stesso ha fatto il Belgio per quanto riguarda lo stabilimento di Anversa. Paradossalmente proprio i timori ormai generalizzati per una chiusura di molti impianti automobilistici europei potrebbero imporre a questa vicenda una soluzione continentale. Il momento naturalmente è delicatissimo: la recessione è grave, la disoccupazione in aumento e in molti paesi le elezioni politiche sono dietro l'angolo, a iniziare dalla Germania che si recherà alle urne in settembre per il rinnovo del Bundestag. I governi europei devono decidere se guardare lontano e cogliere l'occasione per facilitare una ristrutturazione del settore che tutti ritengono necessaria. Da questo punto di vista, la partita tra Fiat e Opel supera le frontiere di Italia e Germania ed è diventata un banco di prova di un'Europa in bilico tra integrazione e disintegrazione, tra federalismo e nazionalismo.