“In Italia solo il Nord è global” – 20/05/08

BONN – Anche in Germania, come in Italia, la globalizzazione può fare paura. C’è  l’inflazione galoppante dei prezzi delle materie prime. Si teme la recessione americana. E la crisi finanziaria, per ora imbrigliata,  non ha smesso di preoccupare. Una risposta sempre più frequente, negli Stati Uniti ma anche in Europa, vede riemergere protezionismo e paura della concorrenza, dopo che per anni in economia ha dominato il liberalismo. Mondializzazione? No, grazie,  o con cautela, per favore. Una parola dieci anni fa travolgente è associata oggi alla paura di un forte calo del potere d’acquisto, alla preoccupante presenza di immigrati e a un assottigliamento di quella che era la classe media, immolata – si teme – sull’altare del mercato globale.

Hermann Simon è di altro avviso, e in questa intervista tratteggia i contorni di una globalizzazione che non ha solo perdenti, ma anche vincitori. A 61 anni, il consulente d’impresa ritenuto da molti l’erede di Peter Drucker crede che proprio l’Europa appartenga alla seconda categoria. La sua società  di consulenza, specializzata in prezzi e marketing, è in forte crescita: nata a Bonn appena venti anni fa, la Simon-Kucher & Partners conta oggi più di 400 dipendenti in 16 città del mondo e coltiva ormai legami d’affari con tutte le più grandi multinazionali:  da Allianz a Coca-Cola, da Siemens a Microsoft,  da Bayer a Procter & Gamble, da Berstelsmann a Panasonic.
«Credo vi siano due grandi vincitori della globalizzazione – spiega il professor Simon, autore di una trentina di libri tradotti in sedici lingue – : la Cina e la Germania. La Cina è la fabbrica del mondo, e chi la sta costruendo? La Germania, e per certi versi il Nord Italia. D’altro canto,la domanda di infrastrutturee di prodotti industriali è illimitata in molti Paesi emergenti. Le faccio un esempio: la nuova automobile della Tata costa 2mila dollari. Per costruirla la Tata si appoggia a sei o sette fornitori tedeschi e la loro quota sul prezzo finale è sorprendentemente elevata».
In questi giorni la presa di posizione di Simon è controcorrente. Anche in Germania, come in Italia, sono forte le vene protezioniste. Ormai la sinistra radicale di Die Linke ha il 13% delle intenzioni di voto nei sondaggi e in Italia è arrivata al potere una forza politica, la Lega Nord, che nei confronti della mondializzazione agita sentimenti contrastanti. Eppure la considerazione di Simon riflette un dato di fatto: Italia e Germania sono gli unici due grandi Paesi dell’Unione in cui gli operai dell’industria rappresentano oltre il 20% degli occupati. Tra il 2005 e il 2007 la quota dell’export sul Pil tedesco è salita dal 40,9% a poco sotto il 47 per cento. Nel frattempo, in Italia lo stesso rapporto è aumentato dal 26 al 29 per cento.
«Se si considera che le automobili a basso costo appartengono al settore dell’industria automobilistica che cresce di più si capisce l’ottimismo di molti fornitori tedeschi – continua Simon, noto anche in Italia per un libro di successo, pubblicato dal Sole-24 Ore: Campioni nascosti. Come le piccole e medie imprese hanno conquistato il mondo – . Si stima che i Suv siano oggi 10 milioni nel mondo e che nel 2015 il loro numero sarà simile, in un mercato stagnante. In compenso, durante lo stesso periodo, il numero di automobili a basso costo salirà da 10 a 27 milioni». La globalizzazione non è un fenomeno a senso unico, solamente positivo: sta rimettendo in discussione molte certezze e modificando i tessuti economici dei vari Paesi. Di ciò il professor Simon è probabilmente consapevole. Ma il fondatore della Simon-Kucher & Partners, con un passato da professore a Harvard e all’Insead, è convinto che la crescita dell’economia mondiale e lo sviluppo dei  Paesi emergenti lascino spazio a tutti, creando una nuova e peculiare divisione del lavoro a livello globale.
Dal suo punto di vista, «gli Stati Uniti sono una potenza leader nella tecnologia dell’informazione, nei computer, nel mondo di internet e in molti servizi. Hanno un grande mercato domestico che possono replicare facilmente all’estero, si guardi a Starbucks per esempio. Il loro settore militare è una fonte di progresso tecnologico. La forza dell’Europa, invece, si basa sul suo knowhow nei macchinari complessi,  la costruzione di infrastrutture e stabilimenti industriali, la produzione di treni e aerei, prodotti di consumo sofisticati, come le automobili, e la moda».
«La Cina, insieme agli altri Paesi asiatici, è la fabbrica del mondo – continua Simon – mentre l’India è un centro di programmazione informatica.  Il ruolo del Giappone è ancora incerto, almeno per me: forse è il migliore produttore di beni di massa di alta qualità. Toyota in questo senso è un esempio». Queste sono le tendenze di lungo periodo, secondo Simon, che tuttavia non promuove l’Europa a pieni voti, nonostante le sue potenziali forze nell’affrontare la globalizzazione: «Le due grandi sfide europee – spiega – sono l’invecchiamento della popolazione e la sua incapacità a gestire l’immigrazione». Dal suo punto di vista, proprio l’immigrazione  dovrebbe rispondere a due condizioni: integrazione ed educazione.
«Mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito stanno attirando i migliori cervelli da tutto il mondo, i Paesi dell’Europa continentale stanno aprendo le  loro frontiere a persone con livelli educativi molto bassi e che sembrano non volersi integrare nelle nostre società occidentali – nota il consulente tedesco – . L’immigrazione che l’Europa sta accettando non è quella necessaria per rafforzare la competitività dell’economia europea». Eppure, come non ammettere che la stessa  mondializzazione abbia trasformato una crisi americana, quella dei mutui sottovalutati, in una crisi globale? E che l’ondata d’inflazione di questi mesi non sia anche un effetto dell’economia globalizzata?  «L’inflazione di oggi non principalmente dalla domanda di materie prime, ma piuttosto da un eccesso di offerta di moneta – risponde Simon, che la stampa anglosassone ha definito il maggior esperto di prezzi al mondo -. Ciò è vero soprattutto negli Usa, dove l’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan ha risolto problemi negli ultimi 20 anni  dando liquidità al mercato, a iniziare dal crash di borsa del 1987».
Simon parla quindi di «bolla» nel settore delle materie prime. È convinto che i prezzi scenderanno «in un futuro non lontano», anche  perché i nuovi investimenti nel settore petrolifero dovrebbero comportare un aumento  della produzione di greggio. E non crede al parallelo tra il momento attuale e gli anni 70: «Le banche centrali sembrano meglio equipaggiate nel combattere l’inflazione rispetto a 30 anni fa. Inoltre, l’Europa di allora aveva seri problemi di produttività e in generale la domanda era molto bassa. Oggi i mercati emergenti stanno crescendo molto e non sembrano soffrire troppo delle turbolenze finanziarie: potrebbe esserci quindi sufficiente domanda per compensare il rallentamento americano».
Tuttavia, secondo alcuni osservatori, ormai la mondializzazione non sta più calmierando i  prezzi. È così? Simon non ne è certo: «Credo che la globalizzazione e i bassi costi che essa implica stiano tenendo giù i prezzi, ma nel contempo questi sono trainati all’insù dalla forte domanda dei mercati emergenti.  In alcuni settori l’effetto netto è positivo, in altri negativo. Non vedo al momento una tendenza generale in un senso o nell’altro». Addirittura, il consulente tedesco vede effetti positivi nell’aumento dell’inflazione in molti Paesi asiatici, a iniziare dalla Cina: «Il Paese sta gradualmente sostituendo il lavoro con il capitale e investendo in macchinari costruiti in Germania, e per certi versi in Italia».
B.R.

  • danilo72 |

    Molto interessante l’opportunità della globalizzazione economica e dei grandi attori citati.
    Mi pare di cogliere una linea di fondo dell’evoluzione delle civiltà in cui la sfida della globalizzazione odierna appare soprattutto una crescita disordinata, a volte senza regole che permette alcuni soprusi dei più furbi.
    Allo stesso tempo l’enorme massa di scambi in crescita continua tende a livellare e imbrigliare un po’ tutti e a scalzare alcune rendite privilegiate, sostituendone temporaneamente altre.
    Al mondo succube dei combustibili fossili, per esempio, gli attori protagonisti dell’atomo vorrebbero dare una ridimensionata.
    Al mondo dei disperati immigrati occorrerebbe dare qualcosa nei loro Paesi.

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