La vicenda di evasione fiscale che sta scuotendo la Germania da alcuni giorni non poteva giungere in un momento più delicato del dibattito politico tedesco, tutto incentrato sul crescente divario tra i redditi e sul desiderio di introdurre un salario minimo nell’economia. Stando a quanto è emerso, il caso di Klaus Zumwinkel, il presidente della Deutsche Post indagato per evasione fiscale, sarebbe solo la punta di un iceberg (nella foto tratta dal sito della Frankfurter Allgemeine Zeitung il dirigente d’azienda torna a casa dopo essere stato interrogato dalla polizia il 14 febbraio scorso). Le autorità giudiziarie tedesche avrebbero in mano una lista di 600 potenziali evasori che negli anni avrebbero sottratto denaro al fisco tedesco, aprendo conti bancari nel Liechtenstein. Nessun partito politico è rimasto indifferente, tutti consapevoli di come la vicenda possa essere facilmente strumentalizzata, per di più in un anno di elezioni regionali.
I democristiani del cancelliere Angela Merkel hanno messo l’accento sui valori dell’economia sociale di mercato, sottolineando l’aggettivo "sociale" e ricordando alla Germania le tradizioni cristiane della CDU. I socialdemocratici dell’SPD hanno subito presentato un progetto di legge per rafforzare le sanzioni penali ai danni degli evasori fiscali. Liberali e Verdi hanno criticato chi più chi meno alcune abitudini della comunità degli affari. In un’intervista alla Süddeutsche Zeitung, il leader di Die Linke, Oskar Lafontaine, ha spiegato che lo scandalo mostra come il Paese "abbia bisogno" del suo partito. Come è possibile, si chiede la sinistra radicale, chiedere sacrifici alla gente comune sul fronte del welfare state quando i più ricchi non esitano a evadere le tasse? Non è ancora chiaro quale sarà il reale impatto dello Steuerskandal tedesco; l’impressione oggi è che possa rafforzare la posizione di coloro che rigettano l’ondata di liberalismo della prima parte del decennio e che chiedono un tetto ai salari dei managers così come più welfare state in Germania.