Da qualche settimana ormai in Germania si discute animatamente dei salari dei dirigenti d’azienda, scandalosamente elevati secondo molti uomini politici tedeschi, a destra come a sinistra. Tra il 2002 e il 2006 lo stipendio medio dei presidenti delle società quotate al Dax-30 è aumentato del 62% (senza contare le eventuali stock options). Il cancelliere federale Angela Merkel ne ha fatto un suo cavallo di battaglia. D’altro canto, il divario tra i redditi è un fenomeno preoccupante. Mentre gli stipendi dei managers sono molto aumentati in questi anni, i salari medi sono rimasti praticamente stabili, saliti tra il 2002 e il 2006 di appena il 2,8%. L’effetto ottico è pessimo, in particolare quando il CEO che abbandona l’impresa a causa dei suoi stessi errori riceve buonuscite milionarie.
Il dibattito tedesco potrebbe fare scuola in Europa. Detto ciò, limitare per legge gli stipendi, come vorrebbero alcuni uomini politici in Germania, appare difficile. Dopotutto, la scelta sugli emolumenti dipende dagli azionisti e dai dipendenti della società, e i dirigenti d’azienda hanno responsabilità molto particolari nella grande economia globalizzata. A sorpresa, poi, alcuni sindacalisti hanno dato il loro appoggio ai managers sotto accusa, forse anche perché parte in causa: spesso siedono nei consigli di sorveglianza e hanno la parola finale sugli emolumenti. Per esempio, il presidente del consiglio di fabbrica di BASF, Robert Oswald, ha difeso il salario di Jürgen Hambrecht, CEO della società chimica (5 milioni di euro nel 2006, di cui 1,3 milioni fissi), e al contrario ha puntato il dito contro gli stipendi di molti sportivi.