Erika Steinbach, un rompicapo “storico” per il cancelliere Merkel

Wprost Erika Steinbach è una signora di 66 anni, alta, slanciata, sorridente e dai capelli biondi. Nulla lascia pensare che per i polacchi sia il "nemico numero uno", o quasi, e che per il cancelliere democristiano Angela Merkel sia un intricato problema politico che conferma quanto la guerra continui a pesare sui rapporti tra Germania e Polonia. La signora Steinbach è il presidente della BdV, l'associazione dei profughi tedeschi della seconda guerra mondiale (i Vetriebenen in tedesco). L'organizzazione, nata negli anni 50, è una lobby influente, soprattutto nelle file democristiane. In queste settimane la BdV è al centro di una doppia diatriba, di politica estera e di politica interna. Oggetto dello scontro è la creazione di un nuovo museo a Berlino dedicato all'esperienza dei rifugiati durante il conflitto. L'associazione della signora Steinbach deve nominare un proprio rappresentante nella fondazione che gestirà l'istituzione. Il nuovo ministro degli Esteri, il liberale Guido Westerwelle, ha ammonito la BdV di non scegliere la signora Steinbach, una figura troppo controversa in Polonia. La vicenda così attuale affonda le sue radici nella seconda guerra mondiale. Dinanzi all'avanzata dell'Armata Rossa negli ultimi anni della guerra, circa 12 milioni di tedeschi abbandonarono le loro terre secolari nei territori orientali del Reich per rientrare nel cuore della Germania. Molti dei Vertriebenen morirono di fame, di freddo e di violenze nel lungo viaggio attraverso la steppa polacca.

Arrivati a Berlino o a Monaco, a Francoforte o a Colonia, si sono riuniti in un'associazione che fin dal dopoguerra ha difeso i loro interessi, trovando nella CDU e nella CSU dell'allora cancelliere Konrad Adenauer una sponda politica. Nell'ultimo decennio la BdV ha chiesto al governo federale di creare un museo per ricordare la loro drammatica esperienza. L'iniziativa è stata criticata dalla Polonia, preoccupata all'idea che i tedeschi vogliano trasformarsi in vittime del conflitto e che i Vertriebenen tentino di recuperare le loro vecchie proprietà, caduto il Muro di Berlino. Da deputata democristiana, la signora Steinbach, nata in Pomerania nel 1943 da un padre militare nella Luftwaffe, non ha forse votato contro la nuova frontiera polacco-tedesca sull'Oder-Neisse? Qualche anno fa la rivista Wprost ha pubblicato in copertina un fotomontaggio di Erika Steinbach a cavalcioni sulla schiena del cancelliere Gerhard Schroeder e in uniforme da SS (nella foto). Secondo un recente sondaggio del quotidiano Rzeczpospolita, il presidente della BdV, una ex violinista, è la figura straniera più temuta in Polonia dopo il premier russo Vladimir Putin. La vicenda è un rompicapo per la signora Merkel. Da un lato il cancelliere non vuole creare tensioni nei rapporti con Varsavia e nel governo democristiano-liberale a Berlino; dall'altro non può ignorare un'associazione molto vicina alla CDU. Per ora sta prendendo tempo, nella speranza – afferma velenosa la Sueddeutsche Zeitung – che la situazione si risolvi da sola senza che lei debba prendere posizione.

  • Antonio Curzi |

    Egregio signor Romano,
    la ringrazio per un articolo di storia imparziale e puntuale scevro della solita squallida ideologia che classifica le morti, le violenze, le sofferenze tra cittadini di serie A e quelli di serie B da sminuire e dimenticare.

  • Beda Romano |

    La ringrazio signor/signora Cozzani per la precisazione. Nel parlare di “avanzata dell’Armata Rossa”, di morti, di violenze e di proprietà secolari, pensavo fosse chiaro che la partenza dei Vertriebenen fosse stata traumatica.
    B.R.

  • LCozzani |

    Egregio signor Romano,
    mi permetto di segnalarLe un’imprecisione nel Suo articolo. I “Vertriebenen”, come dice anche il termine tedesco, non sono persone che hanno abbandonato le loro terre all’avanzata dell’Armata Rossa, ma sono comunità tedesche che sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni, esistenze ed averi in regioni come Slesia, Sudeti, ecc., ora facenti parte della Polonia, Repubbica Ceca, ecc., in seguito alla fine della seconda guerra mondiale. Se si trattasse solo di “abbandono” non ci sarebbero ferite ancora aperte per i torti subiti tra Germania, Polonia e tutti gli altri paesi che i “Vertriebenen” hanno dovuto lasciare.

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