Mentre dominano le preoccupazioni sul futuro del bilancio comunitario e sui rischi legati all’uscita del Regno Unito dall’Unione europea un importante passaggio istituzionale ha avuto luogo a Bruxelles. Un diplomatico italiano, Stefano Sannino, è stato nominato segretario generale del SEAE, il Servizio europeo per l’azione esterna. Entrerà in carica il 1° gennaio prossimo.
Le principali istituzioni comunitarie sono rette da un presidente esponente politico, e da un segretario generale che è chiamato a gestire la macchina amministrativa. Il Consiglio europeo è retto da un diplomatico danese, Jeppe Tranholm-Mikkelsen; la Commissione europea da una diplomatica lituana, Ilze Juhansone; il Parlamento europeo da un uomo di partito tedesco, Klaus Welle.
A seconda del carattere della persona e del suo margine di autonomia la carica può essere molto influente. Non si tratta solo di assicurare il funzionamento della macchina amministrativa, ma anche di contribuire alle scelte politiche dell’istituzione e quindi dell’Unione europea.
Stefano Sannino, 61 anni, è un ambasciatore di grado della Farnesina, ex consigliere di Romano Prodi a Bruxelles e di Enrico Letta a Roma. Ha fatto una parte della sua carriera nelle istituzioni comunitarie, fino a diventare direttore generale per l’allargamento. Nel luglio 2013, fu nominato dall’allora premier Letta rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea, in sostituzione di Ferdinando Nelli Feroci che andava a riposo.
In quella posizione, Stefano Sannino gestì la presidenza italiana dell’Unione (nel secondo semestre del 2014) e alcune delle più gravi crisi europee di inizio secolo: in primo luogo l’emergenza migratoria. Fu chiamato anche a gestire il difficile rapporto tra Bruxelles e Roma. Presidente del Consiglio era Matteo Renzi, giunto al potere nel febbraio 2014 con l’idea di “rottamare” la vecchia Italia e di rimettere in discussione il rapporto del paese con i partner europei e le istituzioni comunitarie.
Ai tempi, l’allora premier non mancava di criticare la Germania e l’Unione. “Nessuno deve trattare gli altri paesi come si trattano degli studenti”, disse un giorno Matteo Renzi, rispondendo alla cancelliera tedesca Angela Merkel che il giorno prima aveva invitato tutti i Paesi dell’Unione “a fare i propri compiti” nel risanare il debito pubblico. “Basta con la dittatura degli zero virgola !”, aggiunse in una altra occasione, riferendosi alla necessità di rispettare il Patto di Stabilità e di Crescita.
In quei due anni – l’uomo politico fu costretto alle dimissioni nel dicembre del 2016 – il premier definì l’Europa in preda a “un frenetico immobilismo”; e parlò di un continente “senza ambizione”. Nel luglio del 2014, affermò: “Che cosa vedremmo se l’Europa si facesse un selfie? Vedremmo l’immagine della rassegnazione”. Da premier, Matteo Renzi cavalcò una certa vena euroscettica italiana con un atteggiamento nei confronti dell’Europa che si voleva al tempo stesso assertivo e ironico, e che in alcuni casi poteva apparire sbruffone.
Compito di un diplomatico, diceva l’ambasciatore Silvio Fagiolo (1938-2011), è di riscaldare i rapporti bilaterali del suo paese quando sono troppo freddi, raffreddarli quando sono troppo caldi. Il diplomatico è troppo realista per non sapere che gli eccessi emotivi sono forieri di incomprensioni nelle relazioni internazionali (e non solo). In Italia poi la politica estera è spesso strumento fazioso di politica interna.
Fedele a questo principio, Stefano Sannino si adoperò per smussare gli angoli tra Bruxelles e Roma. Fu rimosso dall’incarico da Matteo Renzi nel 2016 perché ritenuto troppo vicino alle autorità comunitarie, secondo l’interpretazione della stampa italiana di allora. Il diplomatico fu quindi inviato ambasciatore a Madrid. Al suo posto il presidente del Consiglio volle nominare a Bruxelles un uomo politico, Carlo Calenda, che rimase in carica poco più di un mese prima di essere richiamato in patria dallo stesso premier per diventare ministro dello Sviluppo Economico.
Del periodo bruxellese di Matteo Renzi ho molti ricordi. Uno in particolare mi è rimasto in mente. Da primo ministro del paese che deteneva ai tempi la presidenza di turno dell’Unione partecipò alla conferenza stampa finale del summit europeo del 17-18 dicembre 2014. Con lui sul podio c’erano il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Alla fine dell’incontro con i giornalisti, e dopo aver abbracciato amichevolmente i due uomini politici, lasciò la sala canticchiando una celebre canzone di Mina: “Parole, parole…”.
Tornando al nuovo incarico di Stefano Sannino, il diplomatico sarà chiamato a guidare una macchina amministrativa di 4.200 persone, presente nel mondo con oltre 140 delegazioni. L’Italia si lamenta per la sua vera o presunta assenza ai vertici delle istituzioni comunitarie. In questa fase politica, e mentre l’Europa ambisce a difendere la propria sovranità nei confronti degli Stati Uniti, della Russia, della Cina e della Turchia, l’incarico di segretario generale del SEAE è tutt’altro che banale e rende merito a uno dei diplomatici italiani tra i più seri ed esperti.
(Nella foto, Stefano Sannino, 61 anni, nuovo segretario generale del SEAE)