Tra poche settimane i governi della zona euro saranno chiamati a scegliere il nuovo vice presidente della Banca centrale europea. Dopo otto anni a Francoforte, Vítor Constâncio lascerà l’istituto monetario il prossimo 31 maggio. I ministri delle Finanze hanno tempo fino al 7 febbraio per presentare i propri candidati. Si presume che Madrid proporrà l’attuale ministro delle Finanze Luis de Guindos, 58 anni. In ballo potrebbero esserci anche due banchieri centrali irlandesi: il governatore Philip Lane e la vice governatrice Sharon Donnery. In questo momento favorito è lo spagnolo de Guindos, nonostante il consiglio direttivo della BCE non veda con favore l’arrivo di un uomo politico al vertice della banca. Negli ultimi 20 anni, sono diventati membri del comitato esecutivo banchieri centrali, economisti di richiamo, professori universitari, funzionari dello Stato. L’arrivo di un uomo politico fa temere per l’indipendenza dell’istituto monetario. La BCE ha espresso privatamente i propri dubbi, ma per ora senza successo.
Secondo alcuni diplomatici qui a Bruxelles, il possibile arrivo di de Guindos alla vice presidenza fa temere che alla guida della banca nel 2019, quando Mario Draghi lascerà la presidenza, possa giungere un rappresentante del Nord Europa, quasi a riequilibrare la presenza di uno spagnolo del Sud nella posizione di vice presidente. Da anni, circola l’idea che ci debba essere una qualche forma di equilibrio geografico alla testa dell’istituto monetario. A dire il vero, finora il presunto principio non è mai stato realmente applicato.
Le coppie franco-greca di Jean-Claude Trichet-Lucas Papademos e italo-portoghese di Mario Draghi-Vítor Constâncio hanno smentito questa attesa. L’unica che forse nei fatti l’ha confermata è quella franco-olandese Wim Duisenberg-Christian Noyer. In questo caso, tuttavia, il francese non doveva tanto garantire un equilibrio geografico quanto tranquillizzare la Francia che avrebbe ricevuto la presidenza qualche anno dopo. Detto ciò, se l’idea del principio circola, questa non può essere del tutto ignorata. Potrebbe influenzare il voto dei governi al momento della scelta del vice presidente. Chi non vuole un presidente del Nord, rischia di non votare per un vice presidente del Sud, e viceversa. La decisione avverrà a maggioranza qualificata.
A netto del possibile arrivo di de Guindos a Francoforte e di un presunto equilibrio Nord-Sud alla BCE, circola insistentemente voce che che alla presidenza dell’istituto monetario sia predestinato nel 2019 l’attuale governatore della Bundesbank Jens Weidmann. In realtà, nulla è meno sicuro. Finora, l’establishment tedesco ha sempre evitato di chiedere ai suoi partner la guida dell’istituto monetario. Nel 1998, sostenne la nomina dell’olandese Wim Duisenberg. Nel 2011, l’arrivo di Mario Draghi alla presidenza fu facilitato dalla decisione del concorrente Axel Weber di farsi da parte. Questi dette forfait non tanto per scelta personale, ma perché capì di non avere l’appoggio del governo federale.
L’establishment tedesco sa che avere la presidenza della BCE è un onere particolare. Ogni mossa di un presidente tedesco verrebbe monitorata, dibattuta, analizzata, giudicata. Lo stesso Weidmann non gode di popolarità nel consiglio direttivo della BCE. D’altro canto, non potrebbe essere altrimenti. Più volte, in questi anni ha criticato pubblicamente la politica monetaria di Francoforte, prendendo le distanze dai suoi colleghi in frangenti dove tutti inevitabilmente nel consiglio direttivo avevano preso decisioni coraggiose, e in cuor loro controverse.
In passato, la candidatura Weidmann non mi sarebbe sembrata molto realistica. Oggi ammetto non si possa escludere che il governo Merkel la faccia propria. Recenti scelte della zona euro – dai salvataggi sovrani agli acquisti di debito da parte della BCE – hanno provocato drammatici dubbi nella società tedesca sulla solidità della moneta unica. Nel 2011, Jürgen Stark, allora membro tedesco del comitato esecutivo della banca, si dimise clamorosamente perché contario alle scelte dell’istituto monetario.
Il successo politico di Alternative für Deutschland nella Repubblica Federale è il riflesso tanto del recente governo di grande coalizione, che rafforza inevitabilmente le ali estreme del mondo politico, quanto delle scelte controverse della BCE. Non si può escludere quindi che Berlino decida di candidare un suo uomo alla guida della banca, pur di tranquillizzare la società tedesca e contrastare il successo dell’AfD. Continuo però a pensare che alla Germania non convenga avere un presidente alla guida di una istituzione già molto influenzata dalla Stabilitätskultur della Bundesbank. L’effetto ottico negativo provocato in altri paesi della zona euro rischierebbe di essere controproducente per gli interessi della stessa Germania.
Una ultima considerazione. Il nuovo governo italiano che uscirà dalle urne il 4 marzo sarà chiamato prevedibilmente a garantire all’Italia un proprio esponente nel comitato esecutivo, una volta terminato il mandato di Mario Draghi. A lasciare la banca prossimamente saranno Peter Praet (il 31 maggio 2019), Benoît Cœuré (il 31 dicembre 2019) e Yves Mersch (il 14 dicembre 2020). L’attuale responsabile della vigilanza bancaria, Danièle Nouy, lascerà poi l’incarico il prossimo 31 dicembre. Se l’Italia vuole giocare d’anticipo è tempo che il paese decida chi candidare e come ottenere la carica.
(Nella foto, l’attuale ministro delle Finanze spagnolo Luis de Guindos, 58 anni)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) is also on Facebook