Riuscirà il presidente della Commissione europea, il 61enne Jean-Claude Juncker, ad arrivare alla fine del suo mandato, fissata per il 2019? La clamorosa e imbarazzante nomina del suo predecessore, il portoghese José Manuel Barroso, al vertice di Goldman Sachs è l’ennesimo fattore che sta indebolendo il potere, incrinando l’immagine dell’esecutivo comunitario, a Bruxelles come in tutti i Ventotto paesi dell’Unione, escluso (forse) il Lussemburgo, da dove proviene l’attuale presidente della Commissione. Tre sono gli elementi che stanno provocando da settimane ridde di voci sul futuro di Juncker. Il primo, naturalmente, è quello relativo alla sua salute. L’andamento claudicante, dovuto apparentemente a un vecchio incidente d’auto, è peggiorato negli ultimi tempi. Da sempre circola voce che l’uomo apprezzi con generosità l’alcool. Voci non confermate dicono che sia malato, e che riesca a lavorare solo poche ore al giorno. In pubblico appare stanco, poco concentrato. Il secondo elemento è politico. Fin dai primi mesi del mandato, il desiderio di essere alla guida di una Commissione fortemente politica non è piaciuto a molti governi, che si sono sentiti esautorati. Alcune coraggiose proposte legislative hanno provocato critiche e tensioni tra i Ventotto: dal ricollocamento obbligatorio dei rifugiati arrivati in Italia e in Grecia alla nascita di un corpo europeo di guardie di frontiera autorizzato a entrare con la forza sul territorio di uno stato membro. La visione troppo federalista ha creato nervosismi, tanto più che è stata associata a una applicazione troppo discrezionale, o almeno ritenuta tale, delle regole del Patto di Stabilità e di Crescita. Racconta un alto funzionario europeo: “Durante l’ultimo vertice europeo c’era diffidenza nei confronti di Jean-Claude Juncker e della sua Commissione. Mai l’avevo percepita così evidente. Neppure i piccoli paesi, tendenzialmente vicini all’esecutivo comunitario, hanno risparmiato critiche”. D’altro canto, l’esito del referendum inglese, che ha rivelato l’intenzione della Gran Bretagna di lasciare l’Unione, ha provocato un mezzo terremoto in molti paesi. Ormai, politiche troppo europeiste sono ritenute troppo lontane dalle sensibilità locali, e tali da aizzare la disaffezione contro l’Europa. C’è voglia di maggiore coinvolgimento delle capitali nazionali nella gestione dell’Unione, ai danni di Bruxelles. Il terzo fattore, infine, è istituzionale. Di solito, il capo di gabinetto di un importante governante è persona se non anonima almeno discreta. Si occupa nell’ombra di gestire il personale alle dirette dipendenze del suo capo, organizza l’agenda, coordina nel caso il lavoro delle direzioni generali, tiene i rapporti con i rappresentanti di capi di stato e di governo. Così non è Martin Selmayr, un tedesco di 46 anni, ex portavoce della commissaria alla giustizia Viviane Reding. Ormai, l’uomo è noto al di fuori di Bruxelles, anche per via di sue controverse e clamorose dichiarazioni su Internet. Qualche settimana fa, il 25 maggio, ha scritto su Twitter: “G7 2017 con Trump, Le Pen, Boris Johnson, Beppe Grillo? Uno scenario dell’orrore che mostra perché vale la pena lottare contro il populismo, con Juncker”. Selmayr ha un innegabile senso della comunicazione, dello spinning, come dicono gli americani. Poco importa. Più gravi sono le critiche di molti diplomatici, che si sentono a torto o a ragione bistrattati da un uomo che – così dicono – approfitterebbe della debolezza del presidente Juncker per espandere il suo potere. E’ così? Non vi sono certezze; ma è facile immaginare il contenuto dei molti telegrammi diplomatici inviati alle capitali nazionali. Ora la clamorosa vicenda di JM Barroso, 60 anni, giunge in un momento delicatissimo, mentre i governi tentano di recuperare il potere concesso a Bruxelles. L’esecutivo comunitario è già considerato negativamente in molti paesi dell’Unione, ritenuto a torto o a ragione il responsabile dei sacrifici economici a cui tutti i paesi sono stati costretti in questi anni. Se poi un suo ex presidente è catapultato ai vertici di Goldman Sachs, una delle banche internazionali accusate tra le altre cose di avere speculato contro il debito greco, è facile immaginare come questa nomina possa pesare ulteriormente sull’immagine della Commissione europea. JC Juncker è prossimo al siluramento? Per ora, così non sembra. In teoria, alla fine dell’anno ricambi alla guida delle istituzioni comunitarie sono possibili. Scade il mandato del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, mentre secondo un accordo non detto anche il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz dovrebbe lasciare la carica. Ci sono quindi i presupposti per un rimpasto. Analizza un altro alto diplomatico europeo: “I tre uomini politici si appoggiano a vicenda. Sanno perfettamente che rappresentano un delicatissimo equilibrio politico tra popolari, socialisti e liberali. Tusk è stato nominato da una maggioranza popolare. Oggi il Consiglio ha una maggioranza socialista. Ai popolari non conviene cambiare le carte in tavola. Più in generale, una Commissione indebolita è più facile da gestire per i governi. E poi, i leader non si arrischieranno: in questa fase, cambiamenti al vertice sono troppo pericolosi. A meno che Jean-Claude Juncker non diventi per loro stessi un handicap politico”.
(Nella foto, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, 61 anni, ex primo ministro del Lussemburgo)
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