La settimana appena trascorsa ha visto il governo italiano intervenire tre volte in ambito europeo. Non con l’ennesima intervista giornalistica o l’ennesima battuta pubblica, ma con tre iniziative e tre documenti che hanno il merito di restare agli atti. Coincidenza del destino? Forse. Fatto sta che in questi giorni qui a Bruxelles l’Italia appare proiettata nel medio-lungo termine, e soprattutto preoccupata ad avere una strategia politica, più costruttiva e meno estemporanea. Due in particolare i fronti aperti dal governo italiano: la politica migratoria e la politica economica. Sul primo fronte fa testo naturalmente il piano strategico presentato venerdì, tutto basato sulla consapevolezza che la dimensione esterna dell’Unione è decisiva per la tenuta interna della stessa Unione. L’iniziativa non è una proposta legislativa da prendere o lasciare; piuttosto è un elemento per alimentare il dibattito comunitario in un contesto politicamente delicato. Sempre su questo versante, e con l’obiettivo proprio di difendere la tenuta interna dell’Unione e soprattutto il futuro dello Spazio Schengen, martedì i ministri degli Esteri Paolo Gentiloni e degli Interni Angelino Alfano hanno chiesto con una lettera congiunta inviata al commissario all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos di verificare urgentemente se l’Austria, nell’imporre maggiori controlli al Brennero, stia violando le regole europee, con misure non necessarie e sproporzionate.
Sul fronte di politica economica, la settimana è stata segnata da una iniziativa franco-italiana nella quale Parigi e Roma propongono, in linea peraltro con antiche proposte dell’establishment comunitario, di rafforzare il nuovo Fondo unico di risoluzione bancaria con un prestito del Meccanismo europeo di Stabilità. Da Berlino ieri si rumoreggiava: «Non vi sarà ulteriore condivisione dei rischi senza una significativa riduzione dei rischi» nei bilanci bancari, ha spiegato un portavoce tedesco. Pochi giorni prima, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan si era associato ad altri sette ministri delle Finanze della zona euro per chiedere alla Commissione europea modifiche temporali alle previsioni sull’output gap, vale a dire la differenza tra crescita potenziale e crescita effettiva, un criterio con il quale viene calcolato il deficit strutturale di un paese. La richiesta è molto tecnica, e potrebbe non essere soddisfatta, ma ha certo una sua valenza politica.
È ancora presto per valutare pienamente la strategia italiana. Sarà il tempo a dimostrare se sarà segnata da costanza e coerenza (due qualità non proprio nazionali). Si intravede però il tentativo di cambiare registro. Dimostrare un atteggiamento più fattivo, meno sfilacciato. La trattativa diplomatica a Bruxelles è naturalmente scivolosa, fatta di alleanze effimere e veti temporanei. Dichiarazioni scritte hanno il merito di impegnare sia il destinatario, che il mittente.
B.R.