A due settimane dagli attentati del 22 marzo, il Belgio continua a interrogarsi sulle ragioni e sulle conseguenze dei sanguinosi attacchi terroristici di matrice islamista che hanno colpito Bruxelles. La vita quotidiana è ripresa come al solito, ma alcune sequele sono sempre visibili. Alcune piccole stazioni ferroviarie della capitale restano chiuse e la metropolitana funziona a un ritmo inferiore al normale, ma i controlli sistematici delle persone all’ingresso delle stazioni sono stati levati. L’aeroporto di Bruxelles-National a Zaventem è tornato a operare, anche se i voli in partenza e in arrivo sono una frazione di quelli previsti dalla normale tabella di marcia. Una fondazione belga – il cui nome vuole probabilmente strizzare l’occhio a un celebre dipinto di René Magritte, Ceci n’est pas une crise, Questa non è una crisi – ha effettuato un sondaggio sulle opinioni prevalenti oggi in questo paese. Tenuto conto del dramma che l’ha colpito e dell’importanza che il Belgio ha assunto in Europa, i dati sono interessanti. Il 78% degli interpellati si aspetta nuovi attentati in questo paese. Sei persone su dieci hanno deciso che non cambieranno le loro abitudini, ma il 30% ha invece scelto di rinunciare completamente all’uso dei mezzi pubblici nei giorni e nelle settimane a venire, dopo che gli attentati hanno colpito aeroporto e metropolitana. Da notare che tra questi, quattro su dieci sono immigrati non europei. Il 79% dei belgi è convinto che lo Stato Islamico voglia creare in Belgio una frattura tra musulmani e e non musulmani. Alla domanda quale sentimento abbiano provocato gli attentati del 22 marzo, il 58% ha risposto: la collera. Il 18%: la paura. Sette persone su dieci attribuiscono gli attacchi terroristici ai tagli alla spesa pubblica decisi dallo Stato nel settore della sicurezza. Il 69% si aspetta che alcuni partiti politici tenteranno di cavalcare la paura, “alimentando un discorso di rifiuto, di ripiego, di odio”. Il 52% dei belgi è pronto ad accettare nuove limitazioni della libertà personale, pur di lottare contro il terrorismo islamista. Il 50% crede che chiudere le frontiere ai profughi in arrivo dal Vicino Oriente sia un modo corretto per contrastare i terroristi. Il 36% degli interpellati sostiene che la comunità musulmana è “piuttosto complice” degli attentatori (il 31% la considera vittima; il 33% né vittima, né complice). Il 50% dei belgi si aspetta un ripiego su se stesso di ciascun paese europeo, e addirittura il 40% teme “l’eventualità di una guerra civile tra musulmani e non musulmani” nel loro paese. Infine, il 79% crede che sia necessario “un potere forte” per riportare ordine. Sul fronte economico, il Belgio è ritenuto da molti economisti un utile termometro per capire l’andamento della congiuntura europea, tenuto conto della sua posizione geografica, luogo di transito tra il Nord e il Sud Europa. Difficile dire se questo paese, multiculturale, multicomunitario, multireligioso, possa essere un barometro europeo anche dal punto di vista sociale e politico, ma i dati del sondaggio non sono banali. Certamente, sono stati influenzati emotivamente dagli ultimi drammatici avvenimenti, ma nascondono anche una sorprendente dose di fatalismo (o di realismo) che si riflette in scelte a tutta prima impensabili. Sulla scia degli attacchi terroristici del 22 marzo, l’ospedale universitario Saint Pierre di Bruxelles ha messo a punto uno speciale manichino “per insegnare agli infermieri a meglio curare i pazienti politraumatizzati”, vittime di attentati. I manichini in ambito medico non sono certo una novità. Questi tuttavia sono stati ideati con numerosi fratture e traumi, palpabili e realistici.
(Nella foto, testimonianze di cordoglio a Bruxelles sulla scia degli attentati che hanno fatto 32 morti)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) è anche su Facebook