Appena sei anni fa, il deputato vallone Pierre Tachenion dava battaglia perché fosse smantellato il posto di frontiera franco-belga di Hensies. Voleva, e ha ottenuto, che in quel punto l’autostrada Bruxelles-Parigi fosse a quattro corsie. Non era così d’altro canto che bisognava interpretare l’Europa della libera circolazione, senza controllo dei passaporti? Oggi, nello stesso passaggio, l’autostrada è segnata da una chicane, la velocità è rallentata, il parcheggio sopravvissuto allo smantellamento del posto di frontiera è pieno di camion che fanno dogana, poliziotti nei due paesi sono riapparsi come funghi. A 31 anni dalla sua firma, il Trattato di Schengen rischia di finire in archivio. Preoccupati dalla carenza di controlli alle frontiere esterne dell’Unione, segnati dall’arrivo in massa di rifugiati o dal pericolo di attentati terroristici, otto paesi hanno già deciso di reintrodurre il controllo alle frontiere. Non solo Francia e Belgio, ma anche Austria, Ungheria, Germania, Norvegia, Danimarca e Svezia. La reintroduzione è temporanea, ma rischia di diventare permanente, con conseguenze drammatiche per l’economia, in particolare per i paesi dell’Est, gli stessi che ostacolando il ricollocamento dei rifugiati in tutta l’Unione hanno provocato la chiusura dei confini.
Isabelle de Maegt rappresenta a Bruxelles gli interessi dell’associazione degli autotrasportatori belghi, nota con l’acronimo Febreta: «Abbiamo fatto – spiega – dei calcoli precisi sull’impatto della reintroduzione dei controlli di frontiera tra il Belgio e la Francia. Stimiamo la perdita di tempo a 30 minuti per ogni passaggio di confine. Poiché gran parte degli autisti attraversano due confini al giorno, la perdita secca è di 60 minuti. Ogni ora di lavoro costa 60 euro. Calcoliamo che ogni giorno 3mila camion belgi viaggiano all’estero. I maggiori costi al giorno per la nostra categoria ammontano quindi a 180mila euro”.
In febbraio, il Consiglio europeo ha dato tre mesi di tempo alla Grecia per migliorare il controllo delle frontiere esterne, e arginare l’arrivo di rifugiati nell’Unione, che tanto preoccupa le opinioni pubbliche di alcuni paesi. Nel caso contrario, l’Unione è pronta a permettere la rentroduzione dei controlli alle frontiere interne dello Spazio Schengen per un periodo di due anni. Nei giorni scorsi, il ministro degli Esteri e dell’Immigrazione lussemburghese Jean Asselborn ha avvertito che “una volta sospesa, Schengen non verrà mai resuscitata”. L’ex ministro degli Esteri svedese Carl Bildt ha aggiunto che la situazione è “tragica”. Lo stesso calcolo dell’associazione imprenditoriale belga è stato fatto da decine di organismi e imprese in giro per l’Europa. D’altro canto il 75% del commercio intraeuropeo avviene per strada. La Bertelsmann Stiftung stima che la fine della libera circolazione nell’Unione comporterebbe perdite per 470 miliardi di euro (1.400 miliardi nello scenario peggiore). Tra il 2016 e il 2025, le perdite nella sola Germania sarebbero pari a 77 miliardi; in Italia ammonterebbero a 49 miliardi. “Se le barriere doganali dovessero tornare su in Europa, ciò peserebbe ancor di più su una crescita già debole”, ha spiegato Aart De Geus, il presidente della Bertelsmann Stiftung. Economisti del settore privato notano che la fine della libera circolazione peserebbe non solo sul commercio, ma anche sui flussi dei lavoratori transfrontalieri, sul turismo, e sui bilanci pubblici, che verrebbero chiamati a spendere di più per controllare i confini. Il Belgio è un crocevia dell’Europa. Addirittura, i punti di passaggio con la Francia sarebbero più di 1.500 (quanto controllabili nei fatti, soprattutto quelli sulle strade secondarie e i sentieri di campagna?). Il piccolo regno sarebbe tra i paesi più colpiti da una sospensione duratura dello Spazio Schengen. Ma certo non l’unico.
Ancor più penalizzati sarebbero i paesi dell’Est, gli stessi che oggi bloccando il ricollocamento dei rifugiati arrivati in Grecia e in Italia hanno provocato la chiusura dei confini in alcuni paesi. La Slovacchia di Robert Fico è il fornitore di parti meccaniche dell’industria dell’auto. La Repubblica Ceca di Milos Zeman è tra i principali esportatori europei di prodotti agricoli. L’Ungheria di Viktor Orbán è il paese europeo dove è maggiore l’apertura internazionale dell’economia. «La fine dello Spazio Schengen metterebbe seriamente a rischio la catena di valore», ha avvertito in un recente discorso qui a Bruxelles Emma Marcegaglia, presidente di Business Europe.
Al di là dell’impatto economico, gli economisti di Morgan Stanley sostengono con efficacia che la sospensione della libera circolazione avrebbe un impatto sul sostegno popolare per una maggiore integrazione europea. Il ritorno del controllo ai confini – avvertono – «potrebbe portare a sviluppi politici disordinati». Al posto di frontiera franco-belga di Hensies fa bella mostra di sé una grande statua dello scultore belga Jacques Moeschal. Costuita nel 1972, è fatta da due pilastri gemelli legati alla loro sommità. Deve simboleggiare una stretta di mano e l’amicizia tra i due paesi. In questi giorni il timore è che diventi anacronistica. B.R.