La vicenda Orbán ha irritato come non mai i partner europei. I viaggi del primo ministro ungherese prima a Mosca per incontrare Vladimir Putin, poi a Pechino per parlare con Xi Jinping, e infine in Florida per parlamentare con Donald Trump hanno creato un fossato ormai amplissimo tra Budapest e le altre capitali europee.
Non piace il flirt politico con dirigenti politici che con l’Europa tendono a usare le maniere forti: a seconda dei casi disinformazione pericolosa sulle reti sociali, concorrenza sleale in campo economico, spionaggio politico e industriale.
Anche chi crede nella buona fede di Viktor Orbán nel tentativo di riallacciare un dialogo con il presidente Putin ed evitare un allargamento del conflitto in Ucraina non può fare a meno di notare che questa volta il premier ungherese ha superato molti confini istituzionali.
Tutti sanno naturalmente che il premier ha effettuato il viaggio a titolo nazionale, e non europeo. Sanno altresì che l’uomo non aveva alcun mandato europeo per negoziare con chicchessia. Sanno infine che difficilmente i dirigenti politici abbandoneranno le loro prerogative nazionali in un contesto comunitario che rimane confederale, soprattutto in politica estera.
In contraddizione con le conclusioni del Consiglio europeo
Ciò detto, l’Ungheria in tutti questi anni ha approvato conclusioni del Consiglio europeo nelle quali i Ventisette precisano la loro posizione. Qualsiasi negoziato deve avvenire sulla base di alcune precondizioni.
Si legge nelle conclusioni del vertice del dicembre scorso: “Il Consiglio europeo ribadisce la sua ferma condanna della guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, che costituisce una palese violazione della Carta delle Nazioni Unite, e riafferma il risoluto sostegno dell’Unione europea all’indipendenza, alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale nonché al suo diritto naturale di autotutela contro l’aggressione russa”.
Spiega Jim Cloos, un ex direttore generale del Consiglio e oggi segretario generale della Trans European Policy Studies Association: “La missione di Viktor Orbán viola tutte le regole. Uno: la presidenza di turno è lì per presiedere il Consiglio, salvo il Consiglio affari esteri; non ha alcun ruolo nella rappresentanza esterna. Due: anche coloro che hanno tale ruolo – il presidente del Consiglio europeo e l’Alto Rappresentante – non possono semplicemente viaggiare per il mondo e lanciare un’iniziativa così importante senza un mandato dell’Unione europea. Tre: la definizione di pace data da Viktor Orbán non è chiaramente in linea con le posizioni europee”.
Aggiunge l’ex diplomatico ed ex capo di gabinetto del presidente della Commissione europea Jacques Santer: “Si tratta di un grossolano abuso del ruolo della presidenza di turno. Viktor Orbán ha spiegato che non negozia nulla (…) Ma dato che l’Ungheria detiene la presidenza del Consiglio, crea una impressione sbagliata, che Vladimir Putin o i cinesi useranno contro l’Unione europea”.
La Commissione europea ignorerà i vertici informali in Ungheria
In una riunione a livello diplomatico la settimana scorsa 25 paesi su 26 hanno criticato Budapest. Solo la Slovacchia è rimasta silente. Secondo le informazioni raccolte a margine della riunione nessun governo ha proposto misure specifiche e precise contro l’Ungheria.
In realtà sembrano farsi strada due possibilità che non si escludono mutualmente. La prima prevede che la Commissione europea decida di partecipare alle ministeriali informali organizzate dalla presidenza ungherese dell’Unione in questo secondo semestre dell’anno esclusivamente inviando funzionari, non commissari.
La seconda possibilità è di trasformare la riunione informale dei ministri degli Esteri, prevista a Budapest il 28 e 29 agosto, in una riunione formale a Bruxelles. Ciò è possibile perché a differenza delle altre riunioni ministeriali questa è presieduta non dal paese che detiene la presidenza di turno ma dall’Alto Rappresentante.
A mezza voce i diplomatici notano che due articoli potrebbero essere stati violati da Viktor Orbán. Il primo è l’articolo 4 dei Trattati che impone ai paesi membri “leale cooperazione”. Viene precisato: “Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione”.
Azione legale di The Good Lobby contro il Consiglio?
Il secondo è l’articolo 24, comma III, assai più completo in questo frangente: “Gli Stati membri sostengono attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza dell’Unione in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca e rispettano l’azione dell’Unione in questo settore”.
Dinanzi alle unilaterali scelte del sulfureo leader ungherese, i governi europei oscillano tra malcelata insofferenza e crescente irritazione, tra l’impulso di lasciar correre e la tentazione di azioni radicali. La vicenda giunge dopo che l’Ungheria ha violato lo stato di diritto e bloccato varie decisioni comunitarie. Più in generale, l’affaire non mostra solo l’anomalia ungherese, ma forse ancor di più la coesione degli altri paesi membri, malgrado differenze di toni.
Alla Commissione europea spetterebbe aprire una procedura di infrazione, nel caso.
Qualche giorno fa l’associazione The Good Lobby, presieduta dal professore italiano di HEC Paris Alberto Alemanno, ha inviato una lettera ai principali dirigenti dell’Unione europea, chiedendo loro “di porre fine a queste continue violazioni da parte del titolare della presidenza di turno del Consiglio”.
“In caso contrario, e in assenza di altre vie d’azione praticabili – si legge in un comunicato – ci riserviamo il diritto di intraprendere un’azione legale contro il Consiglio e l’Alto Rappresentante per non aver garantito il rispetto dei principi del diritto dell’Unione europea come richiesto dal trattato – tra i quali l’articolo 24, comma III”.
(Nella foto AFP in alto il premier Viktor Orbán e il presidente Vladimir Putin a Mosca il 5 luglio scorso. Nella foto in basso, tratta da internet, il premier ungherese con il presidente Xi Jinping a Pechino l’8 luglio scorso)