Nel giro di qualche settimana, Roma e Parigi hanno prima bisticciato e poi si sono riappacificate. Come se niente fosse. Ricordo il susseguirsi degli eventi. Ai primi di febbraio, il presidente francese Emmanuel Macron ha ricevuto all’Eliseo il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky. Con l’occasione, ha invitato il cancelliere tedesco Olaf Scholz ad unirsi a loro. La premier italiana Giorgia Meloni se l’è presa personalmente, definendo “inopportuno” l’incontro a tre.
Qualche settimana dopo, ai primissimi di marzo, il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire si è recato in visita a Roma dove ha incontrato il ministro delle Finanze Giancarlo Giorgetti e il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. I due governi hanno pubblicato una lunga dichiarazione di quattro pagine in cui sottolineano “la loro visione condivisa di una nuova politica industriale europea”.
Naturalmente, non è la prima volta che vi sono tensioni tra Roma e Parigi, tanto più contraddittorie. Segnati da un rapporto di amore-odio, di confronto-affronto, i due paesi sono in permanente concorrenza tra loro. Eppure, la doppia vicenda si presta a varie possibili analisi. Ho scelto di dare a questo articolo un taglio francese perché sembra rivelare una certa schizofrenia di Parigi.
Più che in passato, la Francia è combattuta tra due mondi. Da un lato, è legata alla Germania da un rapporto privilegiato che risale ormai al 1963 e che è diventato la ragion d’essere della sua politica europea. Dall’altro, la sua economia tende inesorabilmente a ricordare quelle più deboli del Sud Europa.
Ormai il debito pubblico francese oscilla intorno al 112% del prodotto interno lordo, più vicino a quello italiano (145%) che a quello tedesco (67%), secondo le previsioni relative al 2022 pubblicate nel novembre scorso dalla Commissione europea. Nel 2020, l’anno della pandemia, l’economia francese è crollata del 7,8%, quella italiana del 9,0%, quella tedesca del 3,7%.
Per molti versi, Parigi ha le stesse esigenze di Roma. Vuole maggiore flessibilità delle regole di bilancio, maggiore debito in comune per finanziare progetti comunitari, e in cuor suo è preoccupata quanto l’Italia dal modificare in senso troppo espansivo le regole sugli aiuti di Stato.
Al tempo stesso, la Francia non può permettersi uno strappo troppo profondo con la Germania. Non solo perché questo significherebbe rimettere in discussione lo storico rapporto franco-tedesco, ma soprattutto perché rischierebbe di provocare contraccolpi anche finanziari. Mi spiego meglio.
Grazie alla sua vicinanza politica con Berlino, Parigi gode tuttora di rendimenti bassissimi sui mercati obbligazionari. Nonostante l’elevato debito pubblico, il rendimento a dieci anni francese (3,1%) è più vicino a quello tedesco (2,7%) che a quello italiano (4,7%). Il premio di rischio è basso perché gli investitori sono rassicurati dalla relazione tuttora stretta tra la Francia e la Germania.
Alla luce di questi dati, si capiscono meglio il susseguirsi degli eventi in queste ultime settimane. Il tutto poi avviene in un contesto politico difficilissimo. Il partito Rennaissance del presidente Macron è stretto fra la sinistra radicale della France Insoumise e l’estrema destra del Rassemblement National. Il rischio dell’arrivo all’Eliseo di Marine Le Pen nel 2027 è concreto.
Il Trattato franco-italiano del Quirinale fu firmato nel 2021 perché serviva a Parigi per avere una sponda a Sud da contrapporre al potere tedesco e perché era utile a Roma per rompere l’isolamento crescente del paese nei consessi comunitari. È bene ricordare, tuttavia, che dinanzi alla scelta tra Berlino e Roma, Parigi avrà sempre un occhio di riguardo per Berlino.
(Nella foto di Sarah Meyssonnier/Reuters tratta dal sito Challenges, i presidenti Volodymyr Zelensky ed Emmanuel Macron, insieme al cancelliere Olaf Scholz all’Eliseo l’8 febbraio 2023)