È uscito in questi giorni in Francia e in Belgio un film su Simone Veil, una donna fuori dal comune che ha segnato nel secondo dopoguerra la vita politica francese ed europea (1). Era nata a Nizza nel 1927, in una famiglia di origine ebraica, per nulla religiosa e praticante. Morì a Parigi nel 2017 dopo essere stata magistrato, ministra, presidente del Parlamento europeo, e soprattutto essere sopravvissuta ai Lager nazisti.
Mentre in Italia Giorgia Meloni diventa a 45 anni la prima donna a presiedere il Consiglio dei Ministri, vale la pena ripercorrere le tappe della vita di una figura politica che come poche altre ha contribuito all’emancipazione femminile, in Francia e più in generale in Europa.
Simone Veil, nata Jacob, fu arrestata dalla Gestapo a Nizza il 30 marzo 1944; non aveva ancora compiuto 16 anni. Insieme alla madre e alla sorella fu trasferita ad Auschwitz, dalla stazione di Drancy, a Nord di Parigi. Le due sorelle riuscirono a sopravvivere, mentre la madre morì di tifo poco prima della liberazione dei campi da parte dei sovietici. Arrestati anch’essi, il padre e il fratello furono uccisi dai nazisti, presumibilmente in Lituania. La sorella Denise, invece, riuscì ad entrare nella Resistenza.
Al suo ritorno in Francia, Simone Veil si sposa, diventa madre di tre figli e termina gli studi in legge e a Sciences Po, diventando magistrato. Nel film si racconta che ai tempi le donne potevano da pochissimo entrare nella funzione pubblica. D’altro canto, in Francia avevano ottenuto il diritto di voto solo nel 1944; e vent’anni dopo, nel 1965, avrebbero potuto aprire un proprio conto in banca senza il consenso del marito.
Da magistrato, la giovane donna si fece rapidamente notare in un mondo ottusamente maschilista. Contribuì, tra le altre cose, a modernizzare – diremmo meglio: umanizzare – le carceri francesi, in particolare in Algeria dove i detenuti erano trattati in modo terribile. Riuscì a far trasferire in Francia prigioniere algerine esposte a trattamenti disumani.
Nel suo paese, Simone Veil è ricordata, soprattutto, per la battaglia che fece per legalizzare l’aborto, da ministra della Salute nel governo di Jacques Chirac, e mentre presidente della Repubblica era Valéry Giscard d’Estaing. La legge fu votata nel 1975, dopo un lungo e acceso dibattito all’Assemblea Nazionale.
La ministra non credeva che l’aborto fosse semplicemente un diritto che doveva consentire alla donna di decidere se e quando avere un figlio. Era fermamente convinta che fosse un passo necessario e indispensabile per permettere la parità tra uomo e donna.
Nel 1979, Simone Veil si candidò alle elezioni europee di quell’anno, le prime a suffragio diretto. Durante un comizio dovette affrontare, a trent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, virulenti attacchi antisemiti che la Francia pensava di avere dimenticato per sempre. Non solo fu eletta eurodeputata nelle file del partito liberale francese (UDF), ma divenne anche la prima presidente donna del Parlamento europeo (succedendo ad Emilio Colombo).
Nel film non si racconta un episodio che Simone Veil narra nelle sue memorie (Une vie, 2007). Un giorno durante un ricevimento privato un uomo notò sul suo avambraccio il tatuaggio che le avevano fatto al suo arrivo ad Auschwitz, e le chiese spudoratamente se per caso il numero corrispondesse al gettone del guardaroba.
Il film di Olivier Dahan riprende i momenti più significativi della vita di Simone Veil. Soprattutto alcune delle prese di posizione più note. In particolare, quando spiegò che il suo impegno a favore di una Europa più unita fu un modo “per riconciliare il XX secolo con sé stesso”, dopo due guerre mondiali e lo stermino di massa degli ebrei.
Un giorno, durante un viaggio in Israele, una giovane interlocutrice le chiese se si definisse femminista. Nelle immagini girate da Olivier Dahan, l’attrice-protagonista risponde imbarazzata, come se il femminismo fosse un genere che non le appartenesse: “Sì, inevitabilmente…”. (par la force des choses, in francese).
Probabilmente, senza l’esempio e le battaglie di Simone Veil, Giorgia Meloni non sarebbe mai giunta alla guida dell’Italia. Come non suggerire alla nuova presidente del Consiglio di vedere il film appena uscito?
(1) Simone. Le voyage du Siècle, di Olivier Dahan, con Elsa Zylberstein e Rebecca Marder, 2022.
(Nella foto tratta dal sito francese marianne.net, Simone Veil durante il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto negli anni 70 all’Assemblea Nazionale di Parigi)