A preoccupare di più l'establishment tedesco è il fallimento di un Paese della zona euro o la deriva dell'Europa dell'Est? L'esposizione delle banche tedesche agli annelli deboli dell'Unione monetaria – tra gli altri Irlanda, Grecia e Spagna – è enorme: circa il 25% del prodotto interno lordo della Repubblica Federale. Ma anche la grande regione dell'Europa dell'Est pesa nell'economia nazionale ed è fonte di gravi timori in questo contesto di grave crisi economica. Non passa giorno senza che la stampa tedesca dia conto degli ultimi sviluppi. Questa settimana il quotidiano Handelsblatt ha definito la regione "un'isola di instabilità", mentre il settimanale Die Zeit ha detto di temere "disordini sociali e caos politico". Alcuni Paesi sono sotto l'attacco della speculazione; altri hanno subito una revisione al ribasso del loro rating; tutti o quasi sono impantanati in una crisi economica che sta mettendo a dura prova i loro conti pubblici. Il cancelliere Angela Merkel ha spiegato che eventuali salvataggi dovranno essere decisi "caso per caso". L'Unione Europea ha aiutato la Lettonia e l'Ungheria (nella foto una vista di Budapest); sta ora trattando con la Romania. L'attenzione della Germania alla situazione della Nuova Europa non deve sorprendere: i suoi legami sono ormai importantissimi e vanno ben oltre quelli bancari, ormai noti. L'Italia in questo senso non è da meno, se è vero che negli ultimi dieci anni, l'integrazione tra zona euro ed Est Europa è cresciuta moltissimo. Alcune cifre di Eurostat danno la misura di questo fenomeno.
Nel 1999 le esportazioni dei Paesi membri dell'Unione monetaria verso i dieci Paesi dell'Europa centro-orientale – che nel 2004 e nel 2007 sarebbero entrati nella UE – ammontavano a 83,5 miliardi di euro. Nel 2008 erano triplicate a 243,1 miliardi di euro. Germania e Italia sono stati i primi a beneficiare del forte sviluppo economico della regione in quest'ultimo decennio. L'export tedesco è salito da 39,9 a 115,4 miliardi; quello italiano da 11,7 a 30,0 miliardi. Nel frattempo, le importazioni della zona euro dall'Europa dell'Est sono aumentate dai 67,9 miliardi del 1999 ai 193,4 miliardi del 2008. Anche gli investimenti diretti dei Paesi dell'Unione monetaria sono cresciuti: dai 97,2 miliardi del 2002 ai 225,6 miliardi del 2006. Come per le esportazioni, in prima fila sono sempre Germania e Italia. Tra il 1998 e il 2006 gli investimenti tedeschi sono saliti da 14,6 a 49,4 miliardi; tra il 2000 e il 2007 quelli italiani sono balzati dai 3,5 ai 9,8 miliardi. Due ultime cifre: tra 2000 e il 2005 il giro d'affari delle filiali di imprese tedesche nella regione è balzato da 52,8 a 122,9 miliardi di euro, mentre tra il 2002 e il 2007 il numero dei passeggeri sui voli aerei tra la Germania e l'Europa dell'Est è raddoppiato da quattro a otto milioni. Dinanzi a questa forte integrazione economica, possono i Paesi della zona euro – Germania e Italia in primis – assistere a un precipitare della crisi? Difficile. Il ministro delle Finanze Peer Steinbrück è consapevole di come questa eventualità sarebbe danosa per le imprese europee che in Ungheria o in Polonia, in Bulgaria o Estonia producono e vendono: "Abbiamo dimostrato che siamo pronti all'azione – ha detto venerdì 13 marzo parlando a Madrid e riferendosi agli aiuti concessi alla Lituania -. Abbiamo a disposizioni misure e strumenti per agire in altri casi simili".