Da settimane ormai l’establishment europeo si sta chiedendo se e come aiutare la Grecia, ed eventuali altri paesi in grave difficoltà finanziaria. Il tema è delicato: ministri e banchieri devono soppesare vantaggi economici e opportunità politiche. La Germania per esempio è contraria (almeno ufficialmente) all’idea di sostenere la Grecia per paura di dare il cattivo esempio, e ricorda che i trattati europei vietano tendenzialmente il bail-out, il salvataggio dei singoli paesi membri, in linea peraltro con una radicata tradizione americana. Mai in oltre duecento anni di storia l’amministrazione centrale ha salvato uno stato federato, come mi ha confermato questa settimana un economista francese attualmente alla Banca Mondiale, Norbert Gaillard. L’esperienza americana non è però segnata nel marmo, e questa crisi sta cambiando le cose anche negli Stati Uniti sulla scia di un lungo e graduale processo di accentramento della politica economica. Il principio del non salvataggio è vecchissimo. Negli anni 1840, quando alcuni stati, come la Pennsylvania o l’Alabama, ebbero gravissimi problemi finanziari dopo il boom nel settore ferroviario di inizio secolo, Washington decise di non aiutarli: alcuni sono falliti o quasi, altri hanno interrotto il servizio del debito per un certo numero di anni, ma nessuno poté contare sull'aiuto del governo federale. Lo stesso avvenne un secolo più tardi, durante la Grande Depressione provocata dal crollo di borsa del 1929.
Una legge del 1934, voluta dal presidente Franklin D. Roosevelt, facilitò la ristrutturazione del debito delle comunità locali – comuni, contee e anche aziende pubbliche – ma non degli stati federati, che due emendamenti della Costituzione (il 10mo e l'11mo) considerano alla stregua di uno stato sovrano. Neppure il quasi fallimento della città di New York, negli anni 70, comportò l'aiuto federale. La crisi finanziaria di questi anni ha però creato novità sostanziali. Nel 2009, l’amministrazione Obama ha introdotto i Build America Bonds, obbligazioni emesse da enti locali, contee e stati federati, ma garantite almeno parzialmente da Washington. La legge, che prevede il sussidio federale sul 35% della cedola, doveva essere temporanea e scadere alla fine del 2010. Nel bilancio 2011, presentato nei giorni scorsi, il presidente Barack Obama ha deciso di rendere la norma permanente, riducendo il sussidio al 28% della cedola. L’obiettivo naturalmente è di aiutare gli enti locali a rifinanziarsi sui mercati internazionali, dopo che lo scoppio della bolla immobiliare ha messo sotto pressione molti bilanci regionali. Nello stesso modo in cui la guerra di secessione del 1861-1865 contribuì a creare per molti aspetti il debito federale negli Stati Uniti, la crisi finanziaria del 2007-2009 sta cambiando gli equilibri delle finanze pubbliche americane. Gli Stati Uniti non hanno abbandonato la tradizione del no-bail-out, ma se il progetto Obama dovesse passare il paese introdurrebbe certamente un notevole cambiamento di politica economica. L'Europa non può contare su un governo nazionale e un bilancio federale; ma chissà se dopotutto dei Build Europe Bonds, parzialmente garantiti dalle autorità comunitarie o dal Consiglio Europeo, non siano la soluzione per aiutare in queste circostanze la Grecia e l’Unione?
Nelle foto: da sin. il presidente Herman Van Rompuy (UE) e il presidente Barack Obama (USA)