La zona euro sta attraversando un periodo delicatissimo. A causa della deriva dei conti pubblici greci, il futuro dell’unione monetaria è in bilico. Molto dipenderà dalla posizione che assumerà la Germania, se un aiuto finanziario ad Atene si rivelasse necessario.
Il pericolo è di mettere a repentaglio l’intera zona euro e a rischio gli stessi interessi tedeschi nell’Unione monetaria. Alla fin fine, se necessario, anche agli occhi della Germania prevarrà la collaborazione, magari in cambio di condizioni draconiane. Come non chiedersi tuttavia se dietro all’atteggiamento tedesco, dettato da un forte senso di responsabilità, non si nasconda anche un europeismo un po’ freddo? O comunque l’idea che le politiche debbano comunque essere nazionali, piuttosto che europee? La risposta non è semplice, ma questo dubbio riguarda più in generale la stessa politica economica tedesca. La Repubblica Federale è la causa principale di un grave squilibrio macroeconomico nella zona euro. Il paese esporta, ma non importa; vende, ma non consuma. Ha un attivo delle partite correnti enorme, pari al 5% del suo prodotto interno lordo. Le merci italiane o francesi, spagnole o olandesi hanno uno sbocco tedesco limitato. I partner più in difficoltà soffrono in modo particolare di questa situazione. Eppure, ancora di recente il cancelliere Angela Merkel ha respinto l’idea che la Germania debba in alcun modo modificare il proprio modello economico, basato sulle esportazioni. Cambiare modello è tutt’altro che semplice, ma rifiutare d’emblée un riequilibrio è significativo. I tedeschi sembrano pensare di essere autosufficienti. Non lo sono, come dimostra tra le altre cose il loro forte interesse alla sopravvivenza della moneta unica.