La Germania continua a essere al centro delle critiche di molti a Roma, Madrid e Parigi. La si accusa di voler frenare la ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del Meccanismo europeo di stabilità, di voler annacquare la scelta di trasferire la vigilanza bancaria presso la Banca centrale europea; insomma di interessarsi unicamente alle riforme istituzionali di lungo periodo senza tenere conto dell'urgenza del momento. Il ragionamento tedesco è noto. La solidarietà deve essere accompagnata da un maggior controllo dal centro e da una federalizzazione delle politiche nazionali. Mercoledì scorso a Bruxelles il cancelliere Angela Merkel ha esortato i deputati europei a puntare su riforme ambiziose, tratteggiando un piano secondo il quale la Commissione si trasformerebbe in governo, il consiglio nel Bundesrat, il parlamento nel Bundestag. Nello stesso modo in cui la mutualizzazione dei debiti pubblici sarà possibile solo quando i governi avranno ceduto sovranità alle istituzioni europee, il salvataggio in solido delle banche sarà possibile solo quando gli istituti di credito saranno vigilati a livello europeo. Il pensiero tedesco è chiaro e legittimo. Non è privo però di apparenti contraddizioni. La delegazione tedesca, che sta negoziando in queste settimane un trasferimento della sorveglianza creditizia dagli stati membri alla Bce, ha distribuito ai suoi partner un documento in cui difende il ruolo delle autorità nazionali nella vigilanza bancaria. Sì a un ruolo maggiore della Bce, ma mantenendo un qualche margine di responsabilità nazionale. Il sospetto, confermato da molti fatti, e che la Germania voglia consentire alle proprie Sparkassen di godere del controllo amichevole e complice della Bundesbank e del BaFin. Agli occhi di alcuni diplomatici, la contraddizione di una Germania federalista a lungo termine ma nazionalista nel breve si spiega con il desiderio tedesco in realtà di bloccare qualsiasi integrazione europea.
Capisco la sensazione, anche perché posso immaginare come nel corso dei negoziati i funzionari del Bundesfinanzministerium (il ministero delle Finanze) o dell'Auswärtigesamt
(il ministero degli Esteri) possano incaponirsi sui dettagli,
ostacolare la discussione con infinite pregiudiziali, apparire
fastidiosamente ottusi. Credo però che la situazione sia più complicata
di quanto non appaia a prima vista. Dietro alla posizione tedesca nella
trattativa sulla riforma della vigilanza bancaria in Europa si
nascondono vari fattori. Prima di tutto, c'è il desiderio di difendere
un minimo lo status quo (quale altro paese non ha la stessa
tendenza oggigiorno?). Le banche sono una cruciale cinghia di
trasmissione tra la politica e l'economia; cedere sovranità in questo
ambito è molto difficile. "In fondo si sta discutendo di Europa federale
– spiega un responsabile europeo – Sarebbe sorprendente non assistere a
battaglie di retroguardia". In secondo luogo, i tedeschi mettono in
relazione sorveglianza bancaria e responsabilità finanziaria. Fin tanto
che i fondi di risoluzione delle banche in crisi saranno nazionali, la
responsabilità della vigilanza deve anch'essa rimanere tale. La Germania
si dice pronta a mutualizzare i debiti bancari, ma solo dopo che la
vigilanza sarà centralizzata e avrà dimostrato la sua efficacia. Far
quadrare il cerchio è difficile. Per uscire dall'impasse del
ragionamento, la Germania dovrebbe a un certo punto correre un rischio:
accettare di mutualizzare il debito bancario prima che la vigilanza
creditizia abbia fatto le sue prove. Per ora, vuoi per sfiducia nei
confronti dei partner, vuoi per paura di compiere un passo troppo
ambizioso, Berlino non ha voluto correre questo rischio. Dal di fuori,
la Repubblica Federale sembra meno europeista di altri paesi quando
difende le proprie Sparkassen. Certo, Parigi insiste per una
vigilanza centralizzata, ma come non pensare che abbia anche lei i suoi
interessi? La Francia ha poche grandi banche, a differenza della
Germania che a molte piccole banche. Insiste perché alla Bce vada la
sorveglianza di tutti gli istituti di credito non per innato europeismo
ma perché, ben sapendo che la Bce non potrà vigilare su tutte le 6.000
banche europee, teme che all'istituto francofortese vadano solo le
istituzioni più grandi, avvantaggiando il sistema creditizio tedesco che
rimarrebbe un po' più nell'orbita nazionale. Non c'è dubbio che la
Germania appaia ai più dominatrice. La mia impressione è che la
posizione sia dettata dalle preoccupazioni del momento e dall'incertezza
del futuro, non da una esplicita strategia egemone. Non basta. C'è da
chiedersi se nello stesso modo in cui la Germania pecchi guardando più
al lungo periodo che al breve termine, la Francia (e l'Italia) insistano
sul breve termine perché l'impegno del lungo periodo fa loro paura. A
Parigi c'è ìl timore di assistere a una cessione di sovranità in
condizioni di debolezza rispetto al partner tedesco. A Roma, c'è una
vena nazionalista pre-elezioni politiche, oltre che forse la paura di
dover rimettere in discussione il corporativismo italiano, di cui
l'elevato debito pubblico è solo una conseguenza.
(Nella foto, il cancelliere federale Angela Merkel e il
presidente del Parlamento europeo Martin Schulz durante una conferenza
stampa mercoledì 7 novembre a Bruxelles)
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