Sta emergendo un preoccupante, un pericoloso risentimento nei confronti degli Stati Uniti. Le scelte brutali e arroganti dell’amministrazione Trump in campo commerciale, ma non solo, stanno modificando l’immagine dell’America in molti settori della società occidentale.
Una vena anti-americana è sempre esistita, soprattutto nella sinistra europea. Nei decenni scorsi la toccammo con mano in varie circostanze: durante la guerra del Vietnam; quando la Nato dovette decidere se dispiegare missili in Germania e in Italia negli anni 80; e naturalmente nel 2003 quando l’amministrazione Bush dichiarò guerra all’Iraq.
Oggi al contrasto ideologico si sostituisce una incomprensione culturale, una irritazione generalizzata, una amarezza diffusa. Cresce in particolare il fastidio per un negoziato commerciale nel quale manca la buona fede, prevale l’uso della forza, domina lo strumento del ricatto.

Per decenni gli Stati Uniti hanno goduto di una immagine positiva. Non è più così. Un sondaggio pubblicato in giugno dal Pew Research Center di Washington ha rivelato che il 62% delle persone interpellate non ha alcuna fiducia nel presidente Donald Trump. Dalla primavera scorsa, l’immagine degli Stati Uniti è peggiorata in 15 paesi su 24, con cali di 20 punti percentuali o più in Messico, Svezia, Polonia e Canada.
Il dato è interessante. I governi vicini all’amministrazione Trump, a cominciare dal governo Meloni, dovranno presto interrogarsi se la vicinanza al presidente non sia un pericoloso rischio (una liability, direbbero gli inglesi). Sempre secondo il sondaggio del Pew Research Center la percentuale di italiani che ha una opinione favorevole dell’America è scesa in un anno dal 56 al 47%.
Più in generale, alcuni governi dovranno chiedersi presto se la scelta dell’appeasement sia giustificabile presso i propri elettori.
In Slovenia, il primo ministro liberale Robert Golob, al ritorno dal vertice Nato dell’Aja dove ha firmato l’impegno per l’aumento della spesa militare al 5% del PIL, si è scontrato nei giorni scorsi con un partner di governo che non intende andare oltre il 3%. Il Parlamento ha votato a favore di un referendum sul futuro della spesa in difesa. Un voto consultivo che il premier ha fatto proprio, dinanzi alle critiche dell’opinione pubblica contro il presidente Trump.
Il risentimento, anche in politica estera, può avere conseguenze terribili. Ho già illustrato tempo fa il ruolo delle guerre commerciali nel provocare conflitti militari. Dietro alla decisione del Giappone di dichiarare guerra all’America nel 1941 c’era (anche) un embargo petrolifero americano che soffocava l’economia giapponese.

Nel 1832, Horatio Greenough scolpì una statua di George Washington per il centenario della nascita del primo presidente americano. Il modello era la Statua di Zeus a Olimpia, firmata da Fidia. L’opera di Greenough era un omaggio voluto dai padri fondatori alla democrazia ateniese. Di questi tempi, converrà ricordarci come terminò la Lega di Delo.
Nel V Secolo a.C. Atene prese la guida di una confederazione che ai tempi raggruppava le molte città-stato dell’allora antica Grecia. L’obiettivo della Lega di Delo era di combattere un nemico comune: la Persia. Rapidamente Atene impose sugli alleati la sua assoluta predominanza militare e politica. Tra le altre cose esigette un pesante tributo alle città-stato (il phoros).
L’atteggiamento di Atene, oltre a creare dissensi interni alla confederazione, spaventò le altre città del mondo greco, spesso poste sotto l’egemonia di Sparta. Secondo Tucidide, proprio l’imperialismo ateniese contribuì alla Guerra del Peloponneso (431-404 a.C.).