Dedico quest’ultima nota dell’anno alla scena politica europea, con uno sguardo rivolto alle elezioni del prossimo giugno. Tre recenti accadimenti mi inducono ad alcuni paralleli e a una possibile lezione.
Il destino ha voluto che a metà dicembre, a Parigi e a Roma, si siano tenute due cruciali votazioni, a poche ore di distanza. La prima ha permesso l’adozione di un giro di vite nel campo dell’immigrazione. Il testo legislativo proposto dal governo Borne è stato bocciato, e quindi rivisto in senso restrittivo, approvato all’Assemblea nazionale con il voto della destra dei Républicains e dell’estrema destra del Rassemblement National.
La seconda votazione ha avuto luogo alla Camera dei Deputati a Roma. Oggetto del voto era la ratifica del nuovo trattato relativo al Meccanismo europeo di Stabilità. Il testo è stato bocciato con i voti di Fratelli d’Italia, della Lega e del Movimento Cinque Stelle, mentre Forza Italia si è astenuta. A favore hanno votato i partiti di centro-sinistra.
In precedenza, questa volta a Berlino, il governo Scholz era stato costretto a rivedere in senso più restrittivo la politica migratoria e in senso meno rigoroso quell’ambientalista. Nei due casi, ha dovuto rispondere alle pressioni seppur indirette dei partiti più estremisti. Alternative für Deutschland è critica sia dell’arrivo di nuovi migranti che del Patto Verde (il Green Deal, in inglese), ritenuto troppo costoso e invasivo.
I tre momenti rivelano la straordinaria capacità dell’estrema destra ad attirare a sé i partiti più tradizionali, ad insinuarsi nei programmi dei governi in carica. Il caso francese è quello più eclatante. Sul fronte migratorio, il governo centrista ha voluto chiedere, o è stato costretto a chiedere, l’aiuto ai Républicains, con il quale ha raggiunto un compromesso. I Lepénistes hanno approfittato di un testo più duro del precedente per approvare la nuova legge e rivendicare così la bontà e il successo delle loro idee.
La situazione in Italia è solo in parte dissimile. È vero che Fratelli d’Italia, la Lega e Forza Italia governano insieme a Palazzo Chigi da ormai un anno, ma come fa notare Edoardo Bressanelli, professore alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni si è rivelato col tempo un partito molto più moderato della Lega di Matteo Salvini.
A Strasburgo, dal 2019 ad oggi, Fratelli d’Italia ha votato otto volte su dieci con il Partito popolare europeo; appena cinque volte su dieci con gli alleati leghisti di Identità & Democrazia.
Tralasciamo per un attimo le questioni di merito relative al MES: è possibile (probabile?) che al momento del voto la premier Giorgia Meloni non abbia voluto rischiare né una spaccatura della sua maggioranza né di lasciare campo libero alla sua destra.
In Germania la situazione è diversa, ma forse solo a prima vista. Delle tre componenti al governo, il partito liberale è almeno in parte in concorrenza ideologica con l’AfD. L’FDP guarda a destra e su molti temi ha posizioni non dissimili, in particolare per quanto riguarda l’ortodossia di bilancio o le politiche ambientaliste.
Insomma, surrettiziamente, le posizioni in precedenza sulfuree dell’estrema destra stanno diventando sempre più hoffähig, accettabili a Corte, si sarebbe detto a Palazzo di Sanssouci alla fine dell’Ottocento. La premessa è chiara: la forza di questi partiti è ormai radicata.
In Francia, i sondaggi rivelano che il Rassemblement National sarà il partito più votato alle prossime europee, con circa il 28% dei voti. In Italia, la Lega oscilla intorno al 9% dei suffragi negli studi demoscopici. Sempre nei sondaggi, l’AfD è sopra al 20%, di gran lunga il secondo partito dietro ai democristiani della CDU.
Preoccupati dal successo dei movimenti nazionalisti, i partiti più tradizionali si azzardano ad occupare il loro terreno d’elezione, a rispondere alle loro strizzate d’occhio. In fondo tentano la strada percorsa in passato da Franz von Papen in Germania o da Giovanni Giolitti in Italia.
Entrambi i dirigenti politici, moderati e liberali, appoggiarono in qualche modo o addirittura si allearono con Adolf Hitler e Benito Mussolini nella speranza o nella convinzione di modellarli, dominarli, assorbirli. Avvenne, come sappiamo, il contrario.
Nell’allearsi con i partiti più estremi, c’è il tentativo di smorzarne l’aggressività ideologica e occuparne lo spazio politico, ma c’è anche il rischio di rendere questi ultimi più frequentabili agli occhi dell’elettorato, soprattutto quello indeciso.
In questo senso, l’anno elettorale del 2024 sarà un test non da poco per i von Papen e i Giolitti dei nostri tempi. Oltre al voto europeo di giugno, in calendario ci saranno elezioni in Finlandia, Portogallo, Lituania e Belgio. L’Olanda poi è alle prese con la formazione di un nuovo governo a cui potrebbe partecipare in ultima analisi il PVV dell’euroscettico Geert Wilders.
Buon anno a tutti i lettori.