Ungheria-Polonia-Italia – Quando “il denaro parla” e induce a cambi di rotta

Come spesso accade negli affari europei, la fine dell’anno è ricca di decisioni e di epiloghi. Tre scelte hanno confermato che il NextGenerationEU, la dotazione da 750 miliardi di euro nata nel 2020 sulla scia della pandemia, ha creato nei fatti un nuovo rapporto tra i paesi membri. Il controllo reciproco ha compiuto un evidente salto di qualità: tre paesi – la Polonia, l’Ungheria e l’Italia – hanno dovuto almeno in parte adattare le proprie scelte politiche pur di ottenere indispensabili fondi comunitari.

Il caso più eclatante è quello ungherese. Budapest ha accettato di adottare riforme sullo stato di diritto pur di ricevere la sua parte di denaro proveniente dal NextGenerationEU, 5,8 miliardi di euro in sussidi. L’accordo è stato siglato all’ultimo momento. Se non ci fosse stata intesa prima della fine dell’anno, l’Ungheria avrebbe perso il 70% dei fondi.

Lo stesso è avvenuto per la Polonia. Varsavia ha accettato di introdurre misure sul fronte giudiziario dopo che l’anno scorso la Corte europea di Giustizia ha imposto una multa al paese del valore di un milione di euro al giorno e la stessa Commissione ha sospeso il versamento di denaro comunitario, proveniente sempre dal NextGenerationEU, per un totale di 35 miliardi di euro di sussidi e prestiti.

Infine, anche l’Italia ha dovuto alzare bandiera bianca, rivedendo la proposta introdotta nella legge di bilancio che avrebbe alzato a 60 euro la soglia sotto la quale il commerciante non sarebbe stato obbligato ad accettare pagamenti digitali. Perché questo cambio di rotta? Una ipotesi: la proposta è stata criticata da Bruxelles e avrebbe potuto tradursi in una violazione degli impegni presi nel quadro del piano di ripresa e resilienza, mettendo in dubbio l’esborso dei fondi.

Nei tre casi, “money talks”, come mi ha detto un diplomatico bruxellese nei giorni scorsi. Nessuno dei tre paesi può fare a meno dell’aiuto finanziario. In Ungheria, l’inflazione dei prezzi al consumo ha superato il 22% annuo in novembre. In Polonia, la crescita è prevista in forte calo (dal 4,0% nel 2022 allo 0,7% nel 2023). In Italia, sappiamo quanto il risanamento dell’economia dipenda dai fondi europei.

Oltre all’aspetto economico, forse anche i sondaggi hanno avuto un ruolo. In Ungheria, secondo uno studio demoscopico di inizio dicembre, l’86% dei cittadini difende l’adesione del paese all’Unione europea, e i suoi vantaggi. In Polonia, il partito al governo, Diritto e Giustizia (PiS), è ai minimi degli ultimi mesi nei sondaggi elettorali. In Italia, secondo uno studio di inizio dicembre condotto da Euromedia Research, il 56% degli interpellati non ama l’idea di aumentare la soglia sotto la quale è possibile pagare solo per contanti.

I tre paesi si sono arresi, almeno in un primo momento. Capiremo nelle prossime settimane quanto effettivamente i rispettivi governi verranno incontro alle richieste comunitarie. Intanto dobbiamo prendere atto che il NextGenerationEU ha cambiato le priorità e creato nuove forme di dipendenza e di integrazione. Nessun paese membro vuole che il denaro raccolto insieme sui mercati venga sprecato. E nessun paese membro è pronto a farne a meno.

(Nella foto tratta dal sito del Consiglio Europeo, la premier italiana Giorgia Meloni, 45 anni, insieme al primo ministro ungherese Viktor Orbán, 59 anni, durante il summit della settimana scorsa qui a Bruxelles).

  • habsb |

    egr. dr. Romano
    come si puo’ ancora parlare di democrazia quando i parlamenti nazionali devono scegliere fra la propria sovranità e la solidarietà europea ?
    E quando l’allocazione dei fondi è fatta su criteri decisi da una commissione che i popoli non hanno eletto ?

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