Le ultime scelte tedesche in politica internazionale sono parse a molti contraddittorie. Da un lato, la Repubblica Federale annuncia di volere rafforzare la Bundeswehr; dall’altro ancora tentenna nell’inviare armi pesanti all’Ucraina in modo da aiutare Kiev a difendersi contro l’invasione russa. In questa apparente contraddizione tedesca si nasconde una certa continuità.
A costo di forzare l’interpretazione proverò a fare un parallelo fra tre momenti negli ultimi venti anni in cui Berlino ha assunto posizioni in contrasto con quelle dei suoi maggiori alleati: la guerra americana in Iraq del 2003, l’intervento armato in Libia nel 2011, e il coinvolgimento militare in Ucraina nel 2022.
Nel 2003 l’allora cancelliere Gerhard Schröder si oppose fermamente alla guerra americana contro Saddam Hussein, ritenendola ingiustificata e pericolosa. Non aveva torto. Pochi mesi prima aveva invece appoggiato la guerra in Afghanistan e approvato l’uso dell’articolo 5 del Trattato Nato che permise l’intervento dell’Alleanza atlantica fuori dai suoi teatri tradizionali sulla scia degli attentati a New York e Washington.
Nel 2011, l’allora cancelliera Angela Merkel e l’allora ministro degli Esteri Guido Westerwelle decisero che il governo federale si sarebbe astenuto in una riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dedicata a una risoluzione che avrebbe dato il benestare all’intervento occidentale in Libia. Agli occhi di Berlino, l’iniziativa franco-anglo-americana rischiava di creare instabilità nella regione. Neppure questa volta, la Germania aveva torto.
Dieci anni dopo, la Repubblica Federale sceglie nuovamente di distinguersi dai suoi alleati, soprattutto americani. Apre sorprendentemente a nuovi scenari, annunciando inattesi aumenti della spesa militare e nuove forme di collaborazioni europee, ma al tempo stesso è timida nell’impegnarsi nella guerra in Ucraina.
I carri armati Guépard appena inviati a Kiev sono stati recuperati dai depositi della Bundeswehr, inutilizzati dal 2010. Necessitano di un addestramento di cinque mesi per poter essere utilizzati dai militari ucraini. Non per altro rimane acceso il dibattito in Germania. Due lettere aperte sono state pubblicate in questi giorni. La prima firmata da 28 personalità le quali hanno esortato il governo federale a fare marcia indietro. La seconda firmata da 57 intellettuali i quali hanno chiesto al cancelliere Scholz di fare di più.
I tre momenti sono interessanti. Confermano il nuovo desiderio tedesco di assumere posizioni più autonome in campo internazionale e di puntare i piedi sulla scena mondiale. Al tempo stesso, lasciano intravedere curiose forme di neutralità.
È probabile che dietro alla decisione sul fronte ucraino si nascondino varie considerazioni. Senza dubbio, Berlino crede sia necessario coltivare il rapporto con il Cremlino prima di tutto per ragioni politiche. La Germania è convinta, storicamente e culturalmente, che la stabilità a lungo termine del continente dipenda anche dalla Russia. Domina la paura dell’escalation e il desiderio di mantenere il dialogo aperto.
Un altro motivo è economico e finanziario. La Germania è colpevolmente ostaggio del gas russo. Finché il paese continuerà ad acquistare idrocarburi da Mosca, la politica russa di Berlino non potrà che avvenire su vari piani, essere nei fatti ambigua, stretta fra le pressioni delle lobbies e le preoccupazioni delle aziende.
Infine, c’è un elemento più psicologico nelle scelte di Olaf Scholz. Ogni qualvolta interrogo un esponente tedesco sulla ritrosia della Germania a impegnarsi nella politica internazionale, la risposta è inevitabilmente una sola: è pronta l’Europa a fare i conti con una Germania svincolata dal suo passato?
La questione vale tanto nel rapporto con i vicini europei quanto all’interno del paese. L’opinione pubblica oscilla tra la volontà di liberarsi dal “macigno di Auschwitz”, come il romanziere Martin Walzer chiamò nel 1998 il perdurante sentimento di colpa ed espiazione, e la paura di assumere posizioni controverse, tali da destabilizzare l’Europa.
La contraddizione tra il desiderio di rafforzare la Bundeswehr e la cautela nell’affrontare il caso ucraino fa sospettare che la Germania tenda a nascondersi dietro la sua storica reticenza ad intervenire militarmente per meglio difendere i propri interessi. È solo un processo alle intenzioni?
Più in generale, il paradosso in queste circostanze è che la Germania persegua magari senza volerlo, a ragione o a torto, un proprio Sonderweg. Una conseguenza forse inevitabile per un paese non abbastanza grande per dominare il continente, ma non così piccolo perché le sue decisioni non provochino scossoni e anche talvolta instabilità.
(Nella foto tratta da Internet, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, 63 anni)