Mario Draghi in Africa – Oltre il gas e il petrolio, il confronto con l’influenza russa e cinese

Il presidente del Consiglio si appresta a compiere alcune visite in Africa nei prossimi giorni. Dopo essersi recato in Algeria lunedì scorso, Mario Draghi volerà in Congo e in Angola il 20 e il 21 aprile, e poi successivamente in Mozambico. Lo sguardo corre alla necessità di trovare nuove fonti di approvvigionamento in gas e petrolio.

Rare sono le visite dei dirigenti italiani oltre le mete tradizionali, tendenzialmente occidentali. L’inquilino di Palazzo Chigi – con l’eccezione probabilmente di Romano Prodi – tende a rimanere nei pressi di Roma, pur di evitare che mentre è all’estero una crisi di palazzo lo spazzi via all’improvviso. La tendenza, ormai ventennale, va di pari passo con una copertura giornalistica italiana colpevolmente assente e provinciale.

In questo senso, le prossime missioni di Mario Draghi sono una boccata di ossigeno, e offrono l’occasione per riflettere sull’importanza crescente dell’Africa. In dicembre, la Commissione europea ha presentato un piano di investimenti da 300 miliardi di euro, tutto dedicato al continente africano.

D’altronde, l’Africa dovrebbe essere la nuova frontiera economica e politica: un mercato demograficamente dinamico, ricco di materie prime e di potenziali consumatori, e soprattutto cruciale per la stabilità politica e sociale anche dell’Europa. Mentre l’Italia e altri paesi vogliono ridurre la loro dipendenza dalla Russia e in parte anche dalla Cina, il continente africano offre nuove sponde.dsc07592

Mi faceva notare recentemente Filippo Scammacca, attuale ambasciatore d’Italia a Yaoundé: “Il viaggio di tre giorni compiuto dal presidente Sergio Mattarella in Camerun nel 2016 ha favorito una amicizia dalla quale sono derivate commesse pubbliche per più di 600 milioni di euro”.

Secondo i dati dell’ISTAT, l’Italia ha con il continente africano una bilancia commerciale deficitaria. Nel 2021 ha importato per 24,9 miliardi di euro ed esportato per 17,9 miliardi di euro. Negli ultimi anni l’export è rimasto pressoché stabile (nel 2015 ammontava a 18,8 miliardi), mentre l’import italiano dall’Africa è invece salito (sei anni fa era di 19,1 miliardi di euro).

Esiste quindi spazio di crescita per gli affari italiani, tanto più dopo la pandemia da coronavirus. L’esempio tedesco è illuminante. Quando ero corrispondente in Germania avevo seguito la strategia dell’allora presidente Horst Köhler, interessato come pochi alle prospettive africane.

Durante il suo mandato da Capo dello Stato (2004-2010), l’ex direttore generale del Fondo monetario internazionale compì sei viaggi nel continente. Nel 2004 si recò in Sierra Leone, Benin ed Etiopia; nel 2006, in Mozambico, Madagascar e Botswana; nel 2008 in Nigeria, Ruanda e Uganda. Qualche anno dopo, nel 2017, l’uomo fu nominato inviato personale del segretario generale dell’ONU nel Sahara Occidentale.

Non è un caso se sempre nel 2017 la Francia perdeva a beneficio della Germania il primo posto nella classifica dei fornitori europei dell’Africa, secondo Coface, l’ente assicuratore delle imprese francesi all’estero. Nel 2019 l’export tedesco verso l’Africa sfiorava i 24 miliardi di euro, rispetto ai 19 miliardi di euro del 2010.

Con la guerra in Ucraina, la strategia comunitaria conferma tutta la sua ragion d’essere. L’Occidente ha guidato la risposta mondiale all’invasione russa in Ucraina, ma a ben vedere numerosi paesi africani hanno scelto di non schierarsi contro Mosca in un contesto nel quale si registra in molti Stati un calo d’immagine, se non un rigetto, delle ex potenze coloniali – in Niger, Senegal e Mali il sentimento anti-francese è stato evidente in questi mesi.

Ancora di recente il Senegal e il Sud Africa hanno preferito astenersi in occasione del voto alle Nazioni Unite relativo all’espulsione della Russia dal Consiglio ONU per i Diritti Umani. Interpellato in Parlamento a Città del Capo, il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha giustificato la sua posizione spiegando di credere “al dialogo”.

Joseph Siegle, professore alla National Defense University a Washington, ha fatto notare di recente sul sito The Conversation che i governi alla guida dell’Algeria, dell’Angola, del Burundi, della Guinea, della Guinea Equatoriale, del Madagascar, del Mozambico, del Sud Sudan, dell’Uganda e dello Zimbabwe beneficiano di armi o protezione russe.

Non è un caso se nessun paese africano abbia deciso di adottare sanzioni contro la Russia. Non basta. C’è da chiedersi come le cancellerie africane giudichino una Unione europea che in questi anni non è riuscita a prevenire lo scoppio di una guerra ai suoi confini.

Si capisce meglio in queste circostanze l’importanza, e non solo la mera utilità economica, del viaggio di Mario Draghi.

(Nella foto, il premier Mario Draghi in occasione di un vertice a Parigi dedicato all’Africa il 18 maggio 2021)

  • habsb |

    Caro sig. Carl

    Le faccio cortesemente osservare che i meriti del suo punto a) come del suo punto b) non vanno assolutamente attribuiti alla gestione statal socialista, ma bensi’ alla competente lungimiranza di singoli governanti, siano stati essi in gestione statal socialista o ultraliberista.

    Infatti gli USA post guerra civile, o anche la Prussia di Bismarck, o la GB di fine1700 o la Corea del Sud post 1945 hanno tutte conseguito entrambi questi risultati, come tanti altri stati minori, (es. Singapore) senza alcun bisogno di conferire a un solo padrone tutta la proprietà privata.

    Mentre la gestione statal socialista non li ha conseguiti in Venezuela, in Corea del Nord, nei vari stati africani in cui è stata applicata e li ha conseguiti solo molto parzialmente in paesi come Cuba, Romania, Yugoslavia etc etc

    Vi è poi l’interessante esempio della Cina Popolare, dove la gestione statal socialista di Zedong ha mantenuto a lungo il paese al limite del sottosviluppo, mentre i “sovrani” successivi sono riusciti a sviluppare fortemente il paese-continente solo uscendo dal socialismo per entrare in un sistema di tipo fascista dove il governo controlla si’ l’economia ma delega molto alla collaborazione di oligarchi miliardari, sistema in fondo non cosi’ diverso dal sistema USA attuale, certo molto più permissivo e conflittuale, e perdipiù afflitto da una leadership che da decenni è stata catastrofica (con la sola eccezione del presidente Trump)

    Quindi la gestione statal socialista o liberista, importa molto meno della qualità dei leader. Detto questo, la struttura statal socialista implica che un leader inefficace porta a risultati rapidamente catastrofici, (siccome egli controlla tutto, niente si salva, esempio dell’URSS o del Venezuela). Mentre la struttura liberista sopravvive meglio ai cattivi politici : malgrado un presidente ogni volta peggiore del precedente almeno da Clinton in qua (eccetto l’ottimo Trump) gli USA sono sempre in piedi, e la prosperità della classe media americana sempre più forte.

  • carl |

    @habsb
    Pur nuovamente in ritardo e, benchè non serva a nulla, aggiungo due parole e cioè che, se siamo imparziali, dovremmo almeno ammettere che la gestione statal socialista ha consentito all’URSS (ma anche in parte a Cuba)
    a) uno sviluppo ed un’industrializzazione a tappe forzate tramite piani quinquennali e il raggiungimento di non pochi obiettivi. Sicchè qualcosa del genere potrebbe essere avvenuto anche qua e là in Africa, ma è indimostrabile..
    b) di incrementare non poco l’alfabetizzazione della popolazione e molto altro ancora tramite l’istruzione gratuita e che altrettanto sarebbe potuto accadere qua e là in Africa..
    E chiudo i commenti.

  • habsb |

    egr. sig. Carl

    la gestione statal-socialista non risolve proprio niente
    Quando si parla di industrie o fattorie, il vero padrone è quello che prende le decisioni, compresa quella di come spendere i dividendi.
    Allora cosa cambia se costui è il legittimo proprietario o se è invece lo Stalin, Putin o Jinping di turno ?
    La gestion statal-socialista non è altro che un monopolio universale, il capitalismo di un solo padrone che controlla un intero paese.

  • carl |

    @habsb
    Mi scusi il ritardo nel riscontrarLa..Ma non sempre ritorno sul “luogo del commento”..:)
    Comunque mi limito a farLe notare che ho volutamente detto :
    “..se fossero passati più o meno transitoriamente) per una gestione statl-socialista…”.
    Infatti dagli anni 60 del secolo scorso, epoca in cui si susseguirono le “indipendenze” delle ex colonie, ed al pari del liberalismo (divenuto neo.. ecc.) anche il socialismo, sia quello reale che quello occidentalizzato, sono stati sottoposti a non pochi mutamenti di forma e di sostanza…
    E mi limito ad una battuta e cioè che basta dare una scorsa alla Russia, ove c’è perfino una “borsa”.. e ove prese piede, lasciando una pesante impronta fangosa, anche la dottrina delle privatizzazioni… Insomma, negli ultimi decenni sono accadute non poche mutazioni..
    Si immagini in un’Africa, ove dal più bieco sfruttamento occidentale sono spesso passati ad uno altrettanto bieco, seppur locale o indigeno che dir si voglia..
    Quanto ai casi più seri e “engagés”(?) ad es. di NKrumah, Lumumba, Sankara.. Confesso che non ne so abbastanza, per non averli sufficentemente studiati e valutati, ammesso che fosse/sia possibile umanamente farlo..
    crdlmnte

  • habsb |

    egr. sig. Carl
    sono molti i paesi africani che sono passati per una gestione statal-socialista : Senegal, Mali, Ghana, Guinea, Zambia, Tanzania….
    I risultati non sono stati migliori di quelli conosciuti dal socialismo sotto altre latitudini, dal Venezuela alla Corea del Nord : povertà estrema e corruzione.

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