Nelle discussioni che i capi di Stato e di governo dei Ventisette hanno avuto durante il recente vertice europeo di giovedì e venerdì della settimana scorsa a Bruxelles, la Germania è stata in prima fila nell’esortare al dialogo con la Polonia, nonostante la grave deriva della democrazia nel paese.
La cancelliera Angela Merkel ha spiegato che “i ricorsi a cascata davanti alla Corte europea di Giustizia non sono una soluzione”. Ha poi aggiunto: “Dobbiamo avere un dialogo politico per trovare i mezzi legali che possano risolvere la situazione”.
Riferendosi alla recente sentenza della Corte costituzionale polacca che ha rimesso in discussione il principio della preminenza del diritto comunitario ha spiegato: “Questi temi non sono discussi solo in Polonia”. La signora Merkel ha poi giustificato le difficoltà del premier Mateusz Morawiecki “nella ristrutturazione di un sistema giuridico che proviene dall’era comunista”.
Infine, ha sottolineato che spesso “i dirigenti dei paesi dell’Est hanno fatto propri Trattati che nel tempo non avevano contribuito a negoziare”. Le parole della cancelliera hanno indotto David Carretta, corrispondente a Bruxelles di Radio Radicale e del Foglio, a chiedersi se la signora Merkel non abbia giustificato nei fatti il nazionalismo polacco.
La domanda è provocatoria, ma legittima. La cancelliera ha una particolare sensibilità nel comprendere i paesi dell’Est. Cresciuta nella DDR, ne capisce personalmente le molte idiosincrasie e i tanti riflessi. Caratterialmente poi la signora Merkel ha sempre dimostrato di preferire il dialogo al conflitto. Sappiamo anche dei numerosi interessi economici tedeschi nella grande Mitteleuropa. Ma c’è di più.
La Germania soffre nei confronti della Polonia di un enorme senso di colpa che il paese non ha neppure con la Francia, il suo Erzfeind, l’arcinemico. In fondo, francesi e tedeschi hanno un rapporto paritario. Le ultime tre guerre franco-tedesche sono solo quelle più recenti. Fin dalla battaglia di Bouvines del 1214 Francia e Germania si sono combattute ad armi pari e con alterne fortune sui molti teatri europei.
Nella relazione con Varsavia prevale invece il dominio tedesco. Fin dal Tardo Medio Evo, il Margravio del Brandeburgo occupava terre polacche oltre la Vistola. Seguirono le guerre polacco-teutoniche del Trecento e del Quattrocento. Successivamente, tra il 1772 e il 1795 il Regno di Prussia partecipò allo smembramento del paese, si adoperò a germanizzare le nuove province, e a espellere tra il 1885 e il 1890 decine di migliaia di polacchi dalle loro città e campagne.
Con la fine della Prima guerra mondiale, la Polonia recuperò le terre che aveva perso nel Settecento a favore della Prussia. Ma da lì a poco il paese sarebbe stato oggetto del patto Ribbentrop-Molotov e nuovamente sarebbe stato spartito tra i suoi vicini, il Terzo Reich e l’Unione Sovietica. Durante l’Olocausto, la Polonia fu al tempo stesso vittima e strumento dei misfatti del Nazismo. Ai tempi il paese contava sei campi di concentramenti, e non solo Auschwitz-Birkenau.
Accanto alla luciferina e metodica uccisione di milioni di ebrei, la Germania nazista perseguì nuove e violente forme di germanizzazione della popolazione locale sulla base anche di un articolo pubblicato nel 1935 nel quale Theodor Oberländer, un economista-agronomo che sarebbe diventato nel secondo dopoguerra ministro in un governo Adenauer, sostenne che vi erano troppi cittadini polacchi rispetto alla produttività dell’agricoltura nel paese.
Neppure durante il periodo sovietico i tedeschi risparmiarono i vicini polacchi. Nel 1968, durante i moti anti-comunisti a Varsavia e a Praga, il segretario generale del partito comunista tedesco-orientale Walter Ulbricht si schierò apertamente con Mosca e appoggiò le rappresaglie sovietiche.
Capiamo meglio i sentimenti che spinsero l’allora cancelliere Willy Brandt a inginocchiarsi nell’ex ghetto di Varsavia durante una visita in Polonia nel 1970. E capiamo altresì meglio perché in occasione dell’80ma commemorazione dell’inizio della Seconda guerra mondiale, appena due anni fa a Varsavia, l’attuale presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier definì il conflitto “un crimine tedesco”.
Aggiunse nel 2019 l’uomo politico socialdemocratico: “Io, insieme alla cancelliera Merkel voglio dire oggi a tutti i polacchi che non dimenticheremo. Non dimenticheremo le ferite che i tedeschi hanno inflitto alla Polonia. Non dimenticheremo la sofferenza delle famiglie polacche e nemmeno il coraggio della loro resistenza”. Ho ricordi personali di una visita che la stessa signora Merkel effettuò a Varsavia nel 2007, e dove nonostante le tensioni già evidenti con l’allora premier Jarosław Kaczyński fece di tutto per sedurre i suoi interlocutori.
La Polonia occupa quindi nell’esame di coscienza in Germania uno spazio molto particolare. L’arrivo al potere di una coalizione socialdemocratica-verde-liberale e di una nuova generazione politica potrebbe indurre a cambiamenti di tono a Berlino, ma ho la sensazione che la Repubblica Federale avrà sempre un occhio di riguardo per la Polonia, anche quando non ne condivide le scelte politiche.
(Nella foto tratta da internet, la cancelliera tedesca Angela Merkel, 67 anni, e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, 53 anni)