Secondo le ultime statistiche pubblicate ieri dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (noto con l’acronimo inglese ECDC), il Belgio è il paese dell’Unione europea nel quale è più elevata la quota di persone che ha ottenuto almeno una dose di vaccino anti-Covid 19: il 77,7% della popolazione adulta. Seguono l’Olanda e Malta con un tasso del 73,3% e del 72,1% rispettivamente. A titolo di confronto l’Italia è al 67,4%, la Germania al 64,2%, la Francia al 63,2%.
Quando iniziò la campagna vaccinale in inverno, chi abita in Belgio aveva temuto il peggio. Il paese federale conta tre maxi-regioni, sei parlamenti, tre lingue nazionali e una moltitudine di autorità pubbliche. La confusione istituzionale è la regola. Non per altro il comité de concertation che si riunisce regolarmente per fare il punto della campagna vaccinale raggruppa non meno di 12 persone, scelte con il bilancino, alla ricerca di un sofisticato equilibrio che sia politico, geografico e linguistico.
In effetti, non sono mancati problemi e polemiche. Alcuni residenti in Vallonia o nelle Fiandre sono riusciti surrettiziamente a farsi vaccinare a Bruxelles, piuttosto che nel loro luogo di residenza, tanto che la città ha dovuto recuperare dosi di vaccino dalle due altre regioni del paese pur di recuperare il ritardo. La scelta poi di bandire i viaggi all’estero e di introdurre quarantene al ritorno è stata molto criticata anche dalla Commissione europea.
Eppure, a conti fatti, le cifre mostrano che il paese è stato (finora) particolarmente efficace nel vaccinare la popolazione. La piccola taglia del paese (31mila chilometri quadrati) e l’elevata densità abitativa (374 persone per chilometro quadrato) hanno certamente aiutato: rifornire i centri vaccinali non è stato troppo difficile. Tuttavia c’è forse una lezione belga da imparare, in vista delle probabili future campagne di vaccinazione.
A differenza di altri paesi, il Belgio ha deciso rapidamente di usare le dosi in arrivo, senza metterle da parte per la seconda puntura prevista da molti vaccini. È probabile che le autorità belghe avessero informazioni di prima mano sulla produzione di sieri, poiché uno dei più importanti stabilimenti della società Pfizer/BioNTech si trova nei pressi di Anversa, a Puurs-Sint-Amands.
In questo paese, non vi sono significativi movimenti no-vax. Il paese è ben disposto nei confronti della scienza. Una delle più importanti aziende chimiche mondiali si chiama Solvay ed è stata fondata da un imprenditore belga, Ernest Solvay, nel 1863. L’influenza della Chiesa è limitata, come si evince anche dal fatto che la cremazione è una abitudine decennale, l’eutanasia è legale dal 2002, e il matrimonio tra omosessuali dal 2003.
Proprio la vena liberale offre forse la spiegazione più convincente del successo belga nel vaccinare la popolazione locale. Fin dalle prime settimane, il Belgio ha vaccinato prima le persone nelle case di riposo, poi i medici, gli infermieri e i farmacisti. Progressivamente, ha esteso la vaccinazione alle classi di età in ordine decrescente, dai più anziani ai più giovani. Ogniqualvolta che la vaccinazione era permessa per una specifica fascia di età, permetteva alla classe d’età successiva di iscriversi in lista d’attesa.
Non appena erano disponibili dosi di vaccino in eccesso rispetto al programma stabilito – vuoi per un aumento delle consegne o per il disinteresse degli aventi-diritto (in alcune settimane tra aprile e maggio a causa del Ramadan) – le autorità pubbliche contattavano al telefono le persone in lista d’attesa e fissavano un appuntamento, in alcuni casi con appena un’ora di preavviso.
In buona sostanza, il Belgio si è affidato in questo frangente alle liberali leggi del mercato. È stato il rapporto tra domanda e offerta a gestire almeno in parte la campagna vaccinale. L’obiettivo era di vaccinare con ordine e secondo una gerarchia pre-stabilita, ma senza perdere tempo. Le cifre, almeno le più recenti, sembrano dare ragione a questa strategia.
D’altro canto, la vena liberale in Belgio è innegabile, sui due lati della frontiera linguistica. Ne ha fatto uno dei paesi più ricchi e dinamici del mondo. Cacciato prima dalla Germania e poi dalla Francia per le sue idee rivoluzionarie, Karl Marx, che a Bruxelles trovò rifugio a metà Ottocento, riteneva che il paese fosse “il paradiso del capitalismo occidentale”. Nel 2020, nonostante la pandemia, oltre 99mila nuove imprese hanno visto la luce in Belgio (in leggero aumento rispetto al 2019).
(Nella foto, una targa su un edificio del comune bruxellese di Ixelles nel quale Karl Marx visse tra il 1846 e il 1848. Il Belgio offrì rifugio al filosofo tedesco dopo che era stato cacciato dalla Germania e dalla Francia per le sue idee rivoluzionarie)