Maria Rita Gismondo, 66 anni, direttrice responsabile di macrobiologia clinica, virologia e diagnostica bioemergenze dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano ha avuto il coraggio nel fine settimana dell’anticonformismo. Su Facebook ieri ha preso posizione sull’epidemia influenzale arrivata in Italia e in Europa. Ecco il post secondo quanto è stato riferito dalla stampa.
«Mio bollettino del mattino. Il nostro laboratorio ha sfornato esami tutta la notte. In continuazione arrivano campioni. A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così. Guardate i numeri. Questa follia farà molto male, soprattutto dal punto di vista economico. I miei angeli sono stremati. Corro a portar loro la colazione. Oggi la mia domenica sarà al Sacco. Vi prego, abbassate i toni! Serena domenica!»
«Scusate, ma state calmi…forse sono davvero burned…questa settimana sono morti in Italia 2 pazienti a causa del Coronavirus e 24 per influenza. Rispettivamente 50 casi positivi e 656.000…mah! per me c’è un chiasso eccessivo…buonanotte. Dormo con un orecchio al telefono. Domani mattina alle 7 sarò in ospedale. Fate sogni d’oro!»
La presa di posizione della signora Gismondo mi ha indotto a recuperare in biblioteca un libro pubblicato nel 1999 da Gina Kolata, giornalista scientifica del New York Times: Flu – The Story of the Great Influenza Pandemic of 1918 and the Search for the Virus that Caused It. Il volume è avvincente e informato. Racconta di una pandemia che ai tempi fece – con ragione – molta paura. Già oggi i suoi numeri, se messi in prospettiva con quelli provocati dal coronavirus, darebbero credito alle parole della biologa italiana.
L’influenza spagnola scoppiò nel febbraio del 1918, mentre la Grande Guerra era ancora in corso in molti paesi europei, ma non in Spagna dove emerse per la prima volta, a San Sebastian. In appena tre mesi, otto milioni di spagnoli furono costretti a letto da una violenta influenza che oltre alla febbre, al mal di testa, ai dolori muscolari e alla tosse, era caratterizzata anche da un forte catarro misto a sangue. Ai tempi neppure Re Alfonso XIII ne rimase immune. In maggio, un terzo dei madrileni risultava ammalato.
Rapidamente, il virus si propagò, anche oltre Atlantico. Negli Stati Uniti, arrivò in marzo trasportato nelle viscere delle navi per il trasporto truppe che facevano la spola con l’Europa. Tra aprile e maggio, nella prigione di San Quentin, nello stato della California, si ammalarono 500 detenuti sui 1.900 ospitati nel carcere.
In maggio, a prendere l’influenza fu anche Re Giorgio V di Gran Bretagna. Per tre settimane la flotta britannica fu impossibilitata a mollare gli ormeggi e a prendere il largo: non meno di 10.313 marinai erano stati costretti a letto, secondo le precisissime statistiche inglesi. Le stesse operazioni militari sul continente furono interrotte o rinviate in alcuni teatri del conflitto.
Secondo Gina Kolata, l’epidemia sembrò calmarsi durante l’estate ma riprese con maggiore vigore tra l’agosto e il settembre, sempre del 1918. A Boston, nel Massachusetts, giunse una nave carica di soldati di ritorno dal fronte. Il 28 agosto otto militari furono ricoverati negli ospedali della città con l’influenza, l’indomani erano 58. In quattro giorni salirono a 81. In una settimana a 119.
A 30 miglia da Boston, la caserma di Fort Devens divenne rapidamente un inferno. Ospitava 50mila soldati. In una lettera recuperata dalla giornalista americana e datata 29 settembre 1918, un medico spiegava che la malattia era terribilmente mortale: i soldati “muoiono come mosche (…) in media 100 al giorno e il ritmo non cala”. Nel solo mese di settembre del 1918, 12mila americani morirono per la Spagnola, come venne poi chiamata.
Le statistiche alla fine della pandemia furono terribili. I morti sarebbero stati circa 40 milioni, addirittura il doppio secondo altre stime. A titolo di confronto, la Grande Guerra uccise sul campo di battaglia 9,2 milioni di persone. La Spagnola fu 25 volte più letale di un’influenza normale, uccidendo il 2,5% della popolazione mondiale. A due mesi dall’emergere del focolaio di coronavirus, segnalato dalle autorità cinesi il 31 dicembre dell’anno scorso, il tasso di mortalità del nuovo virus è per ora molto più basso di quello dell’influenza spagnola.
Una ultima annotazione, personale questa volta. Nelle sue memorie pubblicate nel 1977, mio nonno paterno scrive che a Milano nell’autunno del 1918 si ammalò anch’egli della Spagnola, rimanendo a letto un mese: “Ero stato gravissimo (…) e avevano temuto per la mia vita”. Allora aveva 14 anni. Quello che non scrive è che i medici erano convinti la sigaretta potesse essere utile nel combattere la malattia (altri tempi anche da questo punto di vista). Da allora fumò tutta la vita.
(Nella foto Getty Images, una signora nel 1919 mentre respira attraversa una maschera. Secondo il sito history.com, non è chiaro a cosa servisse l’apparecchio)