Il dibattito che ha avuto luogo questo martedì a Strasburgo sul Futuro dell’Europa e a cui ha parlato il premier Giuseppe Conte ha probabilmente creato confusione anche nei lettori più assidui di cose europee. Come è possibile che una fetta maggioritaria del Parlamento europeo a centinaia di chilometri da Roma abbia criticato così aspramente il primo ministro italiano? A colpire sono state le frasi del capogruppo liberale che ha accusato Giuseppe Conte di essere “un burattino nelle mani di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio”. Farò l’avvocato del diavolo e cercherò qui di mettermi nei panni di Guy Verhofstadt, 65 anni, primo ministro belga dal 1999 al 2008, poliglotta affermato, uomo politico di esperienza.
L’attuale governo ha inanellato negli ultimi otto mesi una serie impressionante di scelte controverse. Uno dei due vicepremier ha chiuso i porti del paese e impedito alle imbarcazioni cariche di migranti di sbarcare sulla terra ferma, giocando nei fatti con lo stato di diritto. Un altro vicepremier ha incontrato in Francia i rappresentanti di un movimento che da quattro mesi mette a ferro e a fuoco la capitale di un paese alleato. Lo stesso governo italiano tentenna come non mai sul completamento di una opera infrastrutturale che non collega solo l’Italia con la Francia, ma il Mar Mediterraneo con il Mare del Nord, mentre opta per un aumento temerario del debito pubblico, mettendo a rischio l’intera stabilità finanziaria della zona euro.
C’è di più. Non passa quasi giorno senza che membri dell’esecutivo sbeffeggino la classe dirigente comunitaria o il progetto d’integrazione europea; per poi il giorno dopo inaugurare in pompa magna una opera pubblica finanziata con denaro europeo (per ultimo, il nuovo tram che collega Santa Maria Novella all’Aeroporto di Peretola a Firenze alla presenza del Ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli che nello stesso periodo, critico della nuova linea Torino-Lione, si chiedeva quale interesse ci possa essere ad andare nella città francese).
Curiose le reazioni offese della classe politica italiana. Mi chiedo quanti italiani in tutta onestà non sottoscriverebbero la definizione di Guy Verhofstadt? Sembra che ci si sia dimenticati che l’anno scorso, presentando in Parlamento a Roma il programma di governo, lo stesso presidente del Consiglio avesse chiesto ai due vicepremier se poteva o meno menzionare un aspetto particolare. Cosa si aspettava Giuseppe Conte dall’emiciclo di Strasburgo? La persona appare gentile e cortese; fa del suo meglio per arginare le intemperanze dei suoi due vicepremier. Ma pensare che il credito ottenuto a livello nazionale lo protegga dalle critiche europee mi sembra illusorio.
Ero a Strasburgo questa settimana, e ho toccato con mano l’isolamento del paese di cui ho scritto molte volte nelle mie corrispondenze da Bruxelles. C’è di peggio. Ho toccato con mano anche lo scollamento tra la classe dirigente italiana e quella di molti paesi europei (il Regno Unito, impelagato nella vicenda Brexit, sta facendo del suo meglio per essere all’altezza dell’Italia). Dopo un discorso di ordine generale e dottrinario, il premier ha risposto alle critiche spiegando: «Capisco che ci possa essere dialettica, critica, anche aspra, ma non possiamo essere trattati in questo modo come paese fondatore dell’Unione».
Mentre una fetta sostanziale del Parlamento europeo esprime grave preoccupazione per le scelte italiane, esempi alla mano, il premier cita una firma del 1957, quasi che un atto di 60 anni fa vaccini il paese da tutte le sue debolezze e conferisca ai suoi governanti una particolare aura di rispettabilità. Lo stesso premier ha giustificato l’incontro di Luigi Di Maio con i gilets gialli spiegando che vi era andato non da vice capo del governo, ma da capo di un partito. Indirettamente ha giustificato l’atteggiamento di Matteo Salvini, sotto accusa in Italia per sequestro di persona nella sua gestione dei porti nazionali, con la necessità di ottenere maggiore solidarietà nell’accoglienza di migranti.
Sono giustificazioni che funzionano sui plateaux dei talk shows italiani, ma che in una Europa sempre più integrata e sempre più informata non sono capiti e contribuiscono ai molti interrogativi di questi mesi che ignorare sarebbe ingiustificato. Una ultima considerazione: c’è da chiedersi se ci si debba offendere più per le parole in pubblico di Guy Verhofstadt, violente ma genuine, o per quelle dello stesso Giuseppe Conte quanto colto da una telecamera a Davos ha offerto di recente alla cancelliera Angela Merkel una analisi della peculiare situazione politica del suo paese non proprio lusinghiera.
(Nella foto, il premier Giuseppe Conte, 54 anni, durante il suo intervento nell’aula del Parlamento europeo, Strasburgo 12 febbraio 2019)
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