La vicenda Brexit si è complicata non poco dopo la scelta di Westminster martedì 15 gennaio di bocciare l’accordo di divorzio negoziato tra Londra e Bruxelles negli ultimi due anni. A poco più di due mesi dall’uscita del Regno Unito dall’Unione, fissata per il 29 marzo, l’incertezza si tocca con mano. A nessuno conviene una hard Brexit, ossia una uscita disordinata; ma c’è da chiedersi se proprio questa soluzione non possa rivelarsi a un certo punto il minore dei mali per i Ventisette?
L’accordo di divorzio regolamenta il recesso in tutte le sue parti, prevedendo anche un periodo di transizione fino al 31 dicembre 2020 durante il quale il Regno Unito ha accesso al mercato unico e all’unione doganale, ma senza partecipare al funzionamento delle istituzioni comunitarie. L’intesa prevede soluzioni per quanto riguarda il diritto dei cittadini europei residenti nei vari paesi; risolve varie questioni finanziarie; e soprattutto evita che dall’oggi al domani venga interrotta la libera circolazione delle merci sui due lati della Manica, e in ultima analisi l’approvigionamento della Gran Bretagna.
Il paese ha nei confronti del resto dell’Unione un deficit commerciale di oltre 8 miliardi di sterline (in continuo aumento negli ultimi 20 anni: era di appena 20 milioni di sterline nel gennaio del 1998). La stampa inglese ha parlato del rischio di carenza di carta igienica, insulina, medicinali e altri prodotti di prima necessità. L’uscita disordinata provocherebbe poi lunghe code alle dogane a causa della necessità di fare dei controlli alle merci in uscita e in entrata. Non per altro Belgio, Francia e Olanda stanno reclutando nuovi doganieri ed adattando le infrastrutture portuali a nuovi controlli doganali.
Dopo la scelta di Westminster di respingere l’accordo di recesso, la signora May è in gravi ambasce, stretta tra il desiderio di uscire senza traumi dall’Unione e la necessità di mantenere l’unità del partito conservatore. Mentre i tempi stringono, molti qui a Bruxelles si aspettano che Londra chieda un prolungamento dei due anni previsti dall’articolo 50 dei Trattati tra la data della notifica di voler uscire e la data effettiva dell’uscita. Alcune capitali rumoreggiano. La Francia, per esempio, chiede che il prolungamento abbia scadenza precisa e obiettivi determinati. Ha aggiunto lunedì il ministro degli Esteri slovacco Miroslav Lajcak: “Se posticipare l’uscita del Regno Unito servisse solo ad estendere l’agonia non credo che sarebbe d’aiuto”.
Anche se hanno meno da perdere del Regno Unito, i Ventisette temono certamente un hard Brexit. Sono preoccupati dai disagi e dall’incertezza che provocherebbe. Ciò detto, guardano con grande timore a un prolungamento delle trattative: “Un conto è prolungare il periodo previsto dall’articolo 50 per finalizzare un accordo o permettere alla Gran Bretagna di approvare leggi e decreti di preparazione a Brexit – spiega un negoziatore -. Tutt’altro conto sarebbe prolungare i termini semplicemente per guadagnare tempo…”. L’incertezza non piace.
Lo sguardo corre alle prossime elezioni europee del 23-26 maggio. L’idea di prolungare il periodo dedicato alle trattative oltre questa data creerebbe ancor più incertezza. La permanenza del Regno Unito in quanto membro a pieno titolo richiederebbe la presenza di deputati britannici nel Parlamento europeo. Il paese sarebbe quindi chiamato a organizzare elezioni per rinnovare l’assemblea parlamentare. Sarebbe pronta la Gran Bretagna a scegliere questa strada? “Qualsiasi altra soluzione rischia di delegittimare il Parlamento e le sue decisioni, a iniziare dalla nomina della prossima Commissione europea – spiegava di recente un alto funzionario comunitario -. Non ce lo possiamo permettere”. Peraltro, neppure l’organizzazione di elezioni nel Regno Unito è privo di rischi giuridici. La situazione è talmente ricca di imprevisti che il pericolo di ricorsi in una direzione o nell’altra, tali da paralizzare il funzionamento dell’Unione, è dietro l’angolo.
Come non pensare che il hard Brexit possa diventare a un certo punto il male minore? Certo, provocherebbe scompensi pratici (per i residenti sui due lati della Manica) e anche tensioni con Londra (che rischia di non pagare la sua quota nel bilancio comunitario 2014-2020), ma avrebbe il merito di evitare nuove incertezze, e soprattutto di non mettere drammaticamente in dubbio la stabilità dell’Unione a 27. Per ora, la Germania si dice alla ricerca di una soluzione che eviti un hard Brexit, ma con il passare del tempo e in assenza di un accordo potrebbe cambiare idea. Nel 2002, la Repubblica Federale fu l’unico paese dell’unione monetaria a fare il passaggio all’euro in un colpo solo pur di evitare l’incertezza: dalla mezzanotte del 31 dicembre 2001 il marco tedesco non ebbe più valore legale (anche se nei fatti venne ancora accettato dai negozianti per qualche giorno).
(Nella foto, la premier britannica Theresa May, 62 anni)
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