Qualche giorno fa a Bruxelles si è tenuta una riunione ministeriale per discutere della situazione politica in Polonia. Il paese è accusato da più parti – la Commissione europea, il Consiglio d’Europa – di avere fatto scelte politiche controverse, che mettono in dubbio l’indipendenza della giustizia, la libertà di stampa e quindi lo stato di diritto. Il tema non è banale. Sappiamo che i paesi dell’Est Europa, di nuova democrazia, sono ancora alle prese con i demoni del passato. L’attuale governo nazionalista e conservatore vuole ribilanciare le scelte ritenute troppo liberali degli esecutivi che lo hanno preceduto.
Tant’è: l’Unione europea sta discutendo della situazione nel paese nel quadro dell’articolo 7 dei Trattati, che tratteggia il da farsi nel caso di violazione dei principi fondamentali dell’Unione, elencati nell’articolo 2: “L’Unione – si legge in questo secondo articolo – si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.
Ebbene, secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, nel dibattito di martedì 18 settembre solo 12 paesi si sono espressi. Tutti preoccupati della vicenda, ma non tutti necessariamente a favore di un monito ufficiale alla Polonia. Questi paesi sono la Germania, la Spagna, la Svezia, la Danimarca, la Finlandia, la Francia, la Slovenia, il Belgio, Cipro, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e l’Irlanda. Silenti sono rimasti altri 15 paesi, tra cui l’Italia, l’unico dei grandi Stati (insieme al Regno Unito) e l’unico tra i membri fondatori dell’Unione a non aver preso la parola. In un senso o nell’altro.
Da che parte sta il governo italiano? Possiamo immaginare i dubbi della Farnesina. Quanto è lecito processare un governo legittimamente eletto? Fino a che punto può spingersi il carattere intrusivo dell’Unione europea nella vita di un paese membro? Nel valutare la situazione polacca i partner non devono forse anche tenere conto delle conseguenze a livello nazionale delle proprie decisioni? Ciò detto, il fatto che il governo italiano non si sia espresso è sorprendente.
Sappiamo che due settimane fa la maggioranza che sostiene il governo Conte si è divisa nel voto al Parlamento europeo dedicato all’attivazione dell’articolo 7 ai danni dell’Ungheria: la Lega ha votato contro; il Movimento Cinque Stelle ha votato a favore. Una volta scattato l’articolo 7, come nel caso della Polonia, siamo tuttavia su un altro piano. La procedura è ormai avviata e in gioco sono le fondamenta stesse dell’Unione europea, il futuro della costruzione comunitaria, la credibilità di un processo di integrazione. Pensare che la scelta italiana in questo frangente non sia stata notata sarebbe ingenuo. Pensare poi che la scelta dell’astensione non abbia conseguenze è illusorio.
Il vice premier Luigi Di Maio ha spiegato nei giorni scorsi che se la Francia può aumentare il proprio deficit, anche l’Italia farà altrettanto. Numerosi commentatori si sono sforzati di ricordare le differenze economiche tra i due paesi. Ma anche scelte come quelle prese martedì 18 settembre nel dibattito sulla Polonia contribuiscono a segnare le differenze tra i due paesi, tanto più se giungono dopo che il governo Conte ha chiuso i propri porti alle navi cariche di rifugiati; costretto alle dimissioni il presidente di una importante autorità di vigilanza; preannunciato misure sanzionatorie contro i giornali critici dell’esecutivo; accettato che un ministro mettesse i poteri dello Stato l’uno contro l’altro e annunciasse censimenti ad personam; e non ultimo difeso a spada tratta un portavoce che in un messaggio vocale avvertiva di prossime rappresaglie contro i funzionari di un importante ministero.
(Nella foto, il premier ungherese Viktor Orbán, 55 anni, dinanzi al Parlamento europeo)
NB: Dal fronte di Bruxelles (ex GermaniE) is also on Facebook