Seppur annacquato rispetto ai primi canovacci, il programma di coalizione del Movimento Cinque Stelle e della Lega Nord, che ambiscono a governare l’Italia dopo il voto del 4 marzo, contiene non poche promesse controverse o proposte discutibili. Fosse solo in campo economico, vi è il rischio evidente di uno sforamento degli obiettivi di deficit e di debito. La sola cancellazione delle accise sulla benzina provocherebbe un buco di bilancio di circa 25 miliardi di euro, secondo il gettito del 2017.
L’Italia non è un paese di rivoluzioni, nonostante una vena anarchica che attraversa tutti i paesi del Mediterraneo. Dopo un primo momento di annunci aggressivi e di proclami audaci, la maggioranza al governo opterà probabilmente per posizioni più equilibrate. La negativa reazione dei mercati finanziari dinanzi a scelte troppo pericolose per il futuro del debito pubblico indurrà a maggiore cautela. La Costituzione italiana e i Trattati europei sono un argine contro le scelte più spericolate.
Ciò detto, non si possono escludere strappi e testardaggine, tanto più che in Italia domina surrettiziamente una illusione: che il paese sia too big to fail, troppo grande per fallire, e che nei fatti terrebbe in ostaggio il resto dell’unione monetaria, pronto ad aiutarlo chiudendo uno o due occhi sulle magagne del paese. Temo che rispetto al 2011, quando l’Italia stava per essere costretta ad accettare l’aiuto del Fondo monetario internazionale, la situazione sia cambiata. Nei fatti, molti partner non sono più dell’idea che il paese sia too big to fail. In fondo, la stessa richiesta di prevedere una ristrutturazione del debito nelle obbligazioni pubbliche di nuova emissione segnala un cambio di atteggiamento.
Tre fattori hanno modificato il quadro in questi anni, e imposto nuovi interessi e priorità. Il primo fattore è economico: la maggiore integrazione della zona euro rispetto all’inizio del decennio. I passi avanti sono avvenuti sul fronte legislativo, regolamentare e istituzionale. Oggi più di ieri, una crisi sui mercati a causa dell’Italia potrebbe facilmente coinvolgere tutti i paesi dell’unione monetaria. Se le cose si mettono male, i partner dovranno decidere se non convenga spezzare i legami con il paese per salvaguardare se stessi e la stessa unione monetaria. A differenza che in passato, la risposta che si daranno è assai più incerta.
Il secondo fattore è politico. Molti governi della zona euro devono fare i conti con partiti nazionalisti o estremisti, che sono un pericolo per la stabilità di numerosi stati membri. Una crisi finanziaria in Italia rafforzerà probabilmente l’euroscettica Alternative für Deutschland in Germania. Come reagirà di converso il governo Merkel? Lo stesso possiamo immaginare nell’Olanda del Partito per la Libertà (PVV), nella Francia del Front National (FN), nell’Austria del Partito della Libertà (FPÖ). Sotto pressione, nei loro stessi paesi, i governi potrebbero decidere che sacrificare l’Italia è il minore dei mali.
Peraltro, in tutti questi paesi, una certa fetta della popolazione è convinta che l’Italia sia un paese storicamente essenziale della costruzione europea. Come Konrad Adenauer, che da giovane nel suo primo viaggio a Sud delle Alpi dormiva nelle stazioni ferroviarie pur di visitare le città d’arte nelle prime ore del mattino, provano nei confronti dell’Italia ammirazione e simpatia. Ne parlano la lingua, ne studiano la storia, ne apprezzano il savoir-vivre.
Nel contempo, una altra fetta della popolazione è convinta che il paese sia troppo inaffidabile, troppo corrotto, troppo indebitato. Quando negli anni Trenta durante una cena il ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribentrop disse a Winston Churchill che gli italiani avrebbero seguito la Germania nel dichiarare guerra alla Gran Bretagna, il primo ministro britannico rispose, riferendosi all’esperienza durante la Prima guerra mondiale: “E’ giusto così. L’ultima volta erano dalla nostra parte…”.
Il terzo fattore è psicologico. E’ paradossale: l’euroscetticismo italiano è cresciuto in questi anni malgrado le tante facilitazioni, esenzioni o proroghe che il paese ha ottenuto sul fronte dei conti pubblici, dei crediti inesigibili nei bilanci bancari, degli aiuti di stato, delle discariche a cielo aperto. Mentre la Spagna ha ripulito il settore bancario e curato la bolla finanziaria; mentre il Portogallo e l’Irlanda sono usciti da costosi programmi economici; mentre la Grecia sta per tornare stabilmente sui mercati, l’Italia vittimistica suscita oggi in Europa stanchezza, biasimo e magari anche un certo risentimento per il tempo perso e le occasioni sprecate.
Certo, vi è grande riconoscimento per quanto il paese ha fatto e sta facendo sul fronte migratorio; ma è sufficiente per controbilanciare le permanenti richieste di eccezioni su altri versanti o le altrettanto permanenti critiche all’Europa della sua classe dirigente? Come nei rapporti umani, anche tra paesi il risentimento è forriero di cattivi consigli. Al nuovo governo converrà tenerne conto e soprattutto chiedersi se il paese sia veramente too big to fail.
(Nella foto, il leader della Lega Nord Matteo Salvini, 45 anni, a sinistra; e il leader del Movimento Cinque Stelle Luigi di Maio, 31 anni)
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