La selezione delle città che ospiteranno l’Autorità bancaria europea e l’Agenzia europea del farmaco merita qualche considerazione. Ne conosciamo l’esito: un sorteggio dell’ultimo minuto ha deciso che l’EMA sarebbe andata ad Amsterdam e l’EBA a Parigi, a danno di Milano e Dublino. Tralasciamo per un attimo le modalità di voto. Le due città prescelte sono adatte ad ospitare i due organismi. Mentre Parigi ha un grande mercato finanziario, Amsterdam è la capitale di un paese con una forte tradizione economica, patria di multinazionali quali Shell, Unilever o Philips. Chi temeva che due agenzie operative in ambiti sofisticati quali l’EMA e l’EBA potessero trasferirsi da Londra in città di secondo piano è stato rassicurato.
In questo senso la selezione è stata efficace. Resta che il metodo di votazione a tre turni con voti ponderati è stato complesso e ha dato all’esterno una immagine curiosa del funzionamento dell’Unione. Chissà cosa hanno pensato a Washington o a Pechino, a Mosca o a Tokio, di una selezione, terminata con un sorteggio in una grande caraffa trasparente, come nelle migliori lotterie? Forse l’esperienza non è da ripetere. Troppe città candidate – 19 per l’EMA, 8 per l’EBA -, senza che ci fosse stata una pre-selezione tecnica da parte della Commissione europea. Affidare una scelta di questo tipo esclusivamente alla politica e poi al caso non è lungimirante.
Aveva probabilmente ragione l’Italia a chiedere una qualche forma di short-list, come dicono gli inglesi. Ciò avrebbe ridotto la durata della campagna elettorale e delle operazioni di voto; permesso di focalizzarsi su opzioni più precise; reso più efficace e meno aleatoria la selezione finale.
Sempre a proposito del risultato di voto, un’analisi a sé merita il risultato ottenuto da Francoforte nella corsa all’EBA. Al secondo turno, la città ha ottenuto appena quattro voti, rispetto ai 13 di Parigi e ai 10 di Dublino. La Germania ha perso il sostegno dei piccoli stati membri così come dei paesi dell’Est, preoccupati probabilmente di assistere a un ulteriore rafforzamento della Repubblica Federale sullo scacchiere politico europeo. L’assenza di un governo a Berlino potrebbe aver giocato un ruolo, ma il messaggio va al di là delle circostanze politiche del momento.
Da un punto di vista italiano, il voto ha fatto emergere alcune tendenze di fondo. Prima di tutto, il governo italiano è riuscito ad avere dalla sua un gruppo importante di paesi, che ha permesso a Milano di essere la più votata sia al primo che al secondo turno. Secondo le informazioni raccolte qui a Bruxelles, a votare contro l’Italia sono state in particolare la Lituania, la Lettonia, la Germania, la Polonia. In altre parole, paesi con i quali l’Italia si è spesso trovata in contrasto in questi anni su temi che vanno dai conti pubblici all’unione bancaria.
A votare contro è stata anche la Spagna. Madrid e Roma si accusano a vicenda di avere rinnegato un sostegno reciproco. Poco importa. Fin dagli anni 90, quando il premier José María Aznar si oppose all’idea del presidente del Consiglio Romano Prodi di rinviare l’adozione dell’euro, Madrid ha posizioni spesso dissimili da quelle di Roma. Preferisce allinearsi a Berlino piuttosto che costruire un velleitario e probabilmente sfilacciato fronte mediterraneo. Di recente, la Spagna si è opposta o ha frenato su vari temi cari all’Italia: dalle questioni migratorie ai contributi al Fondo fiduciario per l’Africa ed ha posizioni più caute di quelle italiane sui temi bancari, come la riduzione delle sofferenze creditizie.
Un’ultima considerazione sul modo in cui l’Italia ha fatto campagna elettorale. La diplomazia italiana si è confermata temibile quando si tratta di difendere l’interesse nazionale. Soprattutto in questi casi, riesce con maestria a compensare molte delle debolezze nazionali. Tuttavia, non può cancellare dalla memoria dei suoi partner che il paese è in difetto su molti fronti: dai conti pubblici al sistema bancario alla lotta all’inquinamento, sempre alla ricerca di trattamenti di favore o di soluzioni compromissorie. Difficile poi per un governo, anche per quello presieduto da Paolo Gentiloni, far dimenticare ai propri partner le critiche populistiche ed euroscettiche di molti esponenti della classe politica nazionale. La politica in Europa difficilmente può essere a corrente alternata. Richiede un discorso pubblico che sia costante e coerente.
In questo senso, anche il modo in cui l’establishment ha cavalcato la campagna per ottenere l’EMA ha probabilmente giocato. A votare non erano chiamati gli elettori nazionali, ma i partner europei. Eppure non c’era giorno senza che fossero pubblicate sulla stampa italiana interviste celebranti la forza di Milano. Anche in questo campo lo stile conta. Molti governi si saranno chiesti se la partita italiana per l’EMA non si riducesse nella partita personale di alcuni amministratori pubblici, imprenditori privati, dirigenti nazionali, tutta rivolta al pubblico di casa.
(Nella foto, un panorama di Milano. In primo piano, la Galleria Vittorio Emanuele II)
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