Il 2017 sarà un anno segnato da elezioni nazionali in vari paesi europei: lo sguardo è rivolto alle presidenziali in Francia e alle legislative in Germania. Il timore, naturalmente, è che nel primo paese vinca il Front National e che nel secondo paese Alternative für Deutschland metta a soqquadro la governabilità della Repubblica Federale. Eppure, c’è un altro stato membro dell’Unione che andrà seguito passo passo, e forse con ancor più attenzione. E’ l’Italia, dove sta mettendo radici un nazionalismo, in mancanza di una parola più efficace, di cui finora il paese era stato immune. Conoscevamo il nazionalismo inglese e francese, anche quello tedesco. Oggi scopriamo quello italiano, che si riflette in un crescente euroscetticismo e nelle critiche ai partner. Secondo l’ultimo Eurobarometro solo il 33% degli italiani considera che la partecipazione all’Unione sia una buona cosa. Da anni, ormai, il sentimento antitedesco è diffusissimo. Alla Germania si imputa una politica economica troppo segnata dall’austerità. Nei giorni scorsi, è emerso anche un sentimento antifrancese, dopo che Vivendi ha annunciato di voler scalare Mediaset. Il governo Gentiloni ha parlato di operazione “ostile”. La classe politica ha fatto quadrato, nonostante la società televisiva appartenga a un leader politico inviso a una parte importante dell’establishment: all’improvviso il conflitto d’interesse di Silvio Berlusconi non è più censurabile, neppure per l’opposizione. Al di là del caso Mediaset, come non parlare della vicenda del Monte dei Paschi di Siena? MPS è stato gestito per decenni in modo clientelare e familistico. Ha accumulato così tante perdite da essere stato costretto a chiedere oggi l’aiuto della mano pubblica. Il governo sarà chiamato a versare nelle sue casse poco meno di 10 miliardi di euro di denaro dei contribuenti per ricapitalizzare la banca, che un partito e una città hanno usato come cassaforte personale. Lo stesso istituto di credito ha ammesso di avere truffato 40mila risparmiatori, vendendo loro obbligazioni particolarmente rischiose senza avertirli. Ciononostante, anche in questo caso, il paese ha fatto quadrato per difendere la banca. Nel frattempo, è ancora presto per immaginare come si svilupperà la nuova crisi di Alitalia, una società alla deriva da 25 anni; ma sembra che anche questa volta il sistema finanziario correrà in aiuto alla compagnia di bandiera, un concetto quello di compagnia di bandiera ormai defunto in tutto il mondo, che ma in Italia rimane paradossalmente d’attualità. Più in generale, il paese ha dato battaglia contro il burden-sharing nelle eventuali ristrutturazioni bancarie; contro misure di difesa commerciale non sufficientemente ambiziose; contro una riformulazione del bilancio comunitario non sufficientemente attento alle necessità italiane. Il nazionalismo più evidente, altri parlano di vittimismo nazionale, è quello espresso tutte le volte in cui in Europa si discute di conti pubblici. Dietro alla richiesta di flessibilità di bilancio si nasconde certo il sentimento probabilmente corretto che la situazione economica e la crisi sociale richiedano un sostegno economico della mano pubblica. Ma come non pensare che vi sia anche il desiderio di difendere un assetto sociale fatto di grandi e piccoli potentati economici, di grandi e piccole evasioni fiscali, di grandi e piccole prebende finanziarie e di cui l’enorme debito pubblico è l’indispensabile volano? L’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni ha parlato della necessità di creare “una rete (di protezione, ndr) fatta di grandi aziende, pubbliche e private, e di istituzioni finanziarie capaci di muoversi all’occorrenza in modo coordinato, tra di loro e insieme al governo”. Si dirà che non è nulla di molto diverso rispetto a quanto accade in Germania o in Francia e che il protezionismo è in ascesa ovunque. È vero, ma in questi due paesi l’economia è più dinamica, l’amministrazione pubblica più efficiente, l’evasione fiscale meno diffusa, il debito pubblico meno elevato, la meritocrazia più presente. È da notare che l’atteggiamento nazionalista è diffuso e si riflette in praticamente tutti i partiti rappresentati in Parlamento, paradossalmente anche in quelli che si vogliono regionalisti. Forse perché più che nazionalista, il sentimento è protezionista. Al di là del rischio di elezioni anticipate, gli osservatori europei vorranno capire come si svilupperà nel 2017 questo atteggiamento italiano, e quanto sia votato a difendere comprensibili interessi strategici o piuttosto a proteggere lo status quo dalle pressioni di riforma provenienti dal mercato e dall’Europa, mentre le debolezze italiane preoccupano per il futuro dell’intera zona euro.
(Nella foto, la sede nazionale a Roma del Partito Democratico. Lo stesso palazzo ospita una filiale del Monte dei Paschi di Siena)
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