Il commissario alle politiche digitali, il tedesco Günther Oettinger, sta trascorrendo un pessimo autunno. Qualche giorno fa, in un incontro politico ad Amburgo, aveva definito i cinesi “occhi a mandorla”, provocando le vive reazioni di Pechino. Più recentemente si è scoperto che in maggio ha accettato un passaggio su un aereo privato di un imprenditore tedesco da Bruxelles a Budapest. In quest’ultima circostanza, l’uomo politico ha spiegato che non vi erano voli commerciali disponibili, che il viaggio era stato organizzato dal governo ungherese, che i passeggeri erano diretti allo stesso appuntamento, e che non vi è stato alcun conflitto di interesse.
La stessa Commissione europea ha preso le difese del commissario tedesco. Poco importa se apparentemente l’imprenditore tedesco non era registrato tra i lobbisti autorizzati a incontrare i commissari. Agli occhi di un qualsiasi tedesco, il comportamento di Oettinger, 63 anni, non è probabilmente così criticabile, né così sorprendente. Certo l’effetto ottico è ambiguo, ma in quale paese europeo non vi è una qualche forma di consociativismo: In Italia, dove il familismo è sovrano? In Francia, dove il pantouflage è la regola? In Gran Bretagna, dove le alma mater sono maestre? In Germania, il consociativismo è ben presente, come altrove, ma è spesso alla luce del sole. Pubblico e privato, governo e aziende hanno nella Repubblica Federale legami molto stretti, tanto stretti quanto strutturati. La politica economica è il frutto di una collaborazione a due. Sappiamo che nel settore bancario, Sparkassen e Landesbanken sono gestite dalla mano pubblica. Sappiamo che nel capitale di Volkswagen il Land della Bassa Sassonia ha un diritto di veto. E sappiamo che in Baviera il ministro-presidente è un padre-padrone che coccola le imprese locali. Oettinger è un ex ministro-presidente del Baden-Württenberg. Nello stesso modo in cui la cancelliera Angela Merkel invita regolarmente a cena in Cancelleria a Berlino i massimi dirigenti delle principali aziende del paese, l’uomo politico badese ha coltivato per anni le relazioni con le aziende nella sua regione: Daimler, Bosch, Porsche e centinaia di piccole e medie imprese. Come lui altri. Per trarne vantaggi personali? Può capitare – l’esperienza di Gerhard Schröder che dall’oggi al domani è passato dalla cancelleria federale a un consiglio di sorveglianza è un caso controverso – ma non è la regola. In Germania, lo stretto rapporto tra governi e imprese risale all’epoca bismarckiana e ha attraversato tutti i periodi dell’ultimo secolo e mezzo: da quello guglielmino a quello nazista, da quello comunista nella DDR a quello capitalista nella RFT. Mano pubblica e mondo privato collaborano insieme per il bene della Deutschland AG; e con un certo successo. Ciò si riflette anche in un giornalismo che almeno da un punto di vista economico è l’altoparlante di un certo (fastidioso) patriottismo. Alla luce della situazione economica del paese, sembra di poter dire che l’interesse pubblico ha quasi sempre il soppravvento sul vantaggio privato. Non sempre si può dire così in altri paesi europei. Klaus Mangold, l’uomo che ha dato un passaggio a Oettinger, non è un lobbista qualsiasi: per dieci anni è stato a capo dell’associazione delle imprese tedesche che fanno affari con la Russia, la Ost-Ausschuss der deutschen Wirtschaft. In un contesto tedesco, non solo per un ex ministro-presidente del Baden-Württenberg è difficile non frequentarlo; è anche una figura che per certi versi rappresenta interessi pubblici, non più privati. Al di là di tutto ciò, Oettinger è uomo curioso. Ai più può apparire freddo e antipatico, rigido e arrogante. In realtà, è burbero quando parla in pubblico con un inglese fragile e un tedesco gracchiante, gentile e sensibile quando si trova in situazioni private. Qualche tempo fa, ha incontrato nel suo ufficio un gruppo di giornalisti. Erano le 6 di sera e per scusarsi dell’ora tarda ha offerto, anziché un caffè o un bicchere d’acqua, un aperitivo. Una sua collaboratrice si è presa la briga di versare a ciascuno un bicchiere di vino bianco. A un certo punto, Oettinger le ha detto gentilmente sottovoce di lasciar fare agli invitati, quasi che considerasse la premura della giovane signora incompatibile con le sue mansioni. Certo, non perché la persona è affabile in privato va perdonata per il suo atteggiamento in pubblico. Ma la vicenda di cui è protagonista, in assenza di fatti illegali, va letta probabilmente secondo i suoi parametri nazionali. Come diceva Primo Levi, capire è un po’ giustificare.
(Nella foto, il commissario alle politiche digitali, il tedesco Günther Oettinger)
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