L’andamento dei mercati finanziari è stato al centro delle preoccupazioni di politici, banchieri e investitori in queste ultime settimane. I motivi del ribasso sono molti, spesso internazionali. Ma se l’Europa si comporta peggio che altre regioni del mondo è perché gli investitori sono drammaticamente preoccupati dalla tenuta politica dell’Unione Europea, e della zona euro in particolare. Andiamo per ordine. Dietro ai cali delle Borse vi è senza dubbio un fattore economico: il rallentamento della Cina e di altri paesi emergenti. La preoccupazione è che in assenza del traino cinese, la crescita mondiale possa rallentare mettendo a nudo le difficoltà delle banche centrali a sostenere l’economia con politiche monetarie a dir poco straordinarie. Senza crescita, riappaiono improvvisamente in Occidente i rischi di deflazione, a cui contribuisce il basso prezzo del petrolio; i pericoli di bolla, provocati dall’abbondante liquidità; l’angoscia dell’indebitamento, elevato ovunque. Come spesso accade in questi casi, l’effetto-gregge induce vendite a ripetizioni. Alla ricerca di attività solide e rassicuranti, l’Europa dovrebbe approfittarne. L’economia è in leggera ripresa, e i fondamentali economici sono buoni, almeno migliori che in altre regioni del mondo. Eppure, non è così. Dall’inizio dell’anno, gli indici borsistici europei sono calati più di quelli americani. Secondo osservatori del mercato, a contribuire al calo delle borse europee sono anche state le vendite di azioni da parte dei fondi sovrani. Perché l’Europa non attira, e anzi preoccupa? Uno dei motivi – si dice – è legato alle nuove regole europee entrate in vigore all’inizio dell’anno (la direttiva nota con l’acronimo inglese BRRD). Prevedono tra le altre cose che azionisti e obbligazionisti di una banca debbano subire perdite prima che lo Stato possa intervenire per salvare dal fallimento un istituto di credito. La tesi di molti è che queste nuove norme (dette del bail-in) preoccupano chi ha investito in banche europee. In una conferenza la settimana scorsa in Italia, Andrea Enria, presidente dell’Autorità bancaria europea, ha smentito questa tesi, dati alla mano. Anche in questa forte fase di turbolenza sui mercati finanziari, i rendimenti delle obbligazioni ordinarie, che sono sottoposte alle nuove regole del bail-in, si sono mossi poco; mentre è aumentata la percezione di rischio dei prestiti subordinati e di altre obbligazioni convertibili, che da tempo sono parte del capitale regolamentare delle banche. Secondo Enria, il maggiore rischio degli strumenti di capitale riflette la convinzione che questi saranno in futuro chiamati ad assorbire le perdite in caso di crisi, cosa che non è sempre successa nei salvataggi bancari degli anni scorsi. Viceversa, le obbligazioni ordinarie diventeranno più costose solo per le banche che hanno poco capitale. Se finora in genere il loro prezzo è rimasto immutato o quasi è perché – spiega sempre Enria – “i cuscinetti di capitale che abbiamo costituito in questi anni sono sufficienti a proteggere gli obbligazionisti in caso di una crisi”. Di conseguenza, è ben possibile che le nuove regole sul bail-in preoccupino, ma non bastano a spiegare il nervosismo di borsa. Probabilmente sul fronte bancario giocano altri fattori, a seconda dei paesi: le sofferenze in Italia, i derivati in Germania. Ciò detto, i motivi dietro al tracollo dei mercati europei sono anche, e forse soprattutto, politici.Gli investitori sono preoccupati dalla tenuta dell’Unione. La crisi provocata dall’arrivo di migliaia di profughi dal Vicino Oriente ha causato tra i Ventotto uno sfilacciamento politico senza precedenti. La crisi greca era debitoria ed economica, risolvibile con aiuti finanziari. Soprattutto era circoscritta. La crisi dei rifugiati riguarda tutti i paesi; ha natura politica e sociale, non economica e finanziaria; sta mettendo i governi gli uni contro gli altri. Il progetto di ricollocare in tutta l’Unione 160mila rifugiati arrivati in Italia e in Grecia è fallito. Anzi la sola idea ha rafforzato i partiti più radicali e più euroscettici in molti stati membri, e indotto alcuni governanti ad assumere posizioni intransigenti. E’ di questi ultimi giorni la sorprendente critica del premier francese Manuel Valls rivolta alla cancelliera Angela Merkel per la scelta di accogliere oltre un milione di rifugiati in Germania. Mi spiegava nei giorni scorsi un banchiere italiano: “La cancelliera, che in questi anni è stata una ancora di stabilità, si è indebolita politicamente, e di conseguenza gli investitori temono per il futuro della Germania e anche dell’Europa”. A questo quadro già negativo si aggiunge il dibattito sul futuro della Gran Bretagna nell’Unione. Non solo pesa sui mercati un eventuale No al prossimo referendum britannico: l’uscita di un paese significherebbe agli occhi di un investitore asiatico o americano che l’Unione ha i giorni contati. C’è anche il timore che altri paesi richiedano eccezioni, in linea con quella che verrà probabilmente concesso a Londra, sfilacciando ulteriormente la coesione tra i Ventotto o peggio tra i paesi della zona euro. Insomma, attribuire il tracollo dei mercati all’economia rischia di essere una menzogna europea, di cui l’Europa non ha bisogno. Piuttosto, è un campanello d’allarme che sarebbe meglio non sottovalutare.
(Al centro della foto, il premier francese Manuel Valls, che in visita a Monaco questo fine settimana, ha criticato come poche volte in passato la sua padrone di casa, la cancelliera Angela Merkel)
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