Sarà forse la paura di mettere a repentaglio il mercato unico l’incentivo perché i Ventotto trovino un accordo su una politica europea dell’immigrazione e della sicurezza? Dinanzi all’emergenza immigrazione, i Ventotto continuano ad andare ciascuno per la propria strada. La decisione di ricollocare in tutta Europa 160mila rifugiati arrivati in Grecia e in Italia stenta a decollare, forse anche per via della nuova minaccia terroristica che spinge alcuni governanti a fare un parallelo tra migrante e terrorista. Gli ultimi dati mostrano che le persone ricollocate o in via di ricollocamento in 14 paesi dell’Unione sono appena 3.216, il 2% di un totale che dovrebbe essere raggiunto nel giro di due anni. L’incentivo a partecipare alla redistribuzione è stato (per ora) solamente umanitario. Insufficiente, in un contesto di crescente preoccupazione delle publiche opinioni quanto all’arrivo di nuovi immigrati. I paesi dell’Est Europa trascinano i piedi, e sono restii a mettere in pratica l’accordo sulla redistribuzione di 160mila persone. Gli ultimi eventi stanno però creando anche un incentivo economico, che va oltre l’impatto positivo dell’immigrazione sulla crescita e potrebbe indurre i Ventotto a fare una scelta più radicale, optando per una politica finalmente comunitaria. A rischio ormai è il mercato unico europeo, come hanno ammesso indirettamente nei giorni scorsi dall’Aja il primo ministro Mark Rutte e il ministro delle Finanze Jeroen Dijsselbloem. Dinanzi all’arrivo disordinato di migliaia di rifugiati e alla grave minaccia terroristica, molti governi stanno adottando limiti alla libera circolazione, in particolare nello Spazio Schengen. La Slovenia sta costruendo una barriera al confine con la Croazia, lo stesso ha fatto l’Ungheria. I paesi del Nord Europa che sono la principale meta degli immigrati sono altrettanto decisi. La Svezia ha reintrodotto il controllo d’identità alle frontiere; lo stesso hanno fatto nelle scorse settimane, seppur in via temporanea, la Germania, la Francia, l’Austria o l’Olanda. In un articolo pubblicato da Project Syndicate a metà ottobre, il professore americano Barry Eichengreen avvertiva: “In un momento in cui l’Europa sta con difficoltà sostenendo una ripresa della produttività e della competitività, la reintroduzione dei controlli alle frontiere sarebbe un colpo serio”. Non vi sono indicazioni cifrate, ma i segnali anedottici sono già oggi fonte di preoccupazione. “Su molte frontiere nei Balcani i nuovi controlli stanno provocando code di camion che prima non c’erano – spiega un funzionario europeo –. Il traffico è rallentato e ciò non potrà non avere effetti negativi sul prodotto interno lordo. Tempo è denaro”. Addirittura, nella Baviera tedesca c’è chi si lamenta dei controlli stradali, nettamente aumentati: anche i cofani delle auto, non solo i containers dei mezzi pesanti, vengono controllati per verificare se non vi si nascondono immigrati clandestini. Le istituzioni comunitarie calcolano che 1,5 milioni di persone sono entrati illegalmente in Europa nei primi 11 mesi dell’anno. I rischi per il futuro del mercato unico sono una conseguenza indiretta del modo in cui è stata affrontata finora la crisi rifugiati e l’emergenza terrorismo, con misure a macchia di leopardo e senza politiche comuni. Che il pericolo possa indurre i Ventotto a rivedere le loro priorità, non solo rafforzando il controllo delle frontiere esterne dell’Unione con la nascita di un corpo europeo di guardie-frontiera, ma anche accettando finalmente il ricollocamento dei profughi? La stessa lentenza con la quale i paesi partecipano alla redistribuzione induce gli immigrati a fare da sé, attraversando in massa il continente pur di arrivare alla meta: l’Europa del Nord. La libera circolazione di merci e persone senza controllo d’identità nello Spazio Schengen è un grande beneficio economico dell’integrazione europea. L’Olanda lo sa bene. Dinanzi all’arrivo disorganizzato di migliaia di rifugiati nel suo paese e pur di preservare una qualche forma di area di libera circolazione nell’Unione, il governo olandese ha lanciato l’idea di una mini-Schengen che includerebbe la Germania, l’Austria, il Lussemburgo, il Belgio. L’Aja è ben consapevole che l’Est Europa, retroguardia della grande industria tedesca, è una grande beneficiaria della libera circolazione a 28. Il suo tentativo è di costringere i paesi dell’Est a prendere le loro responsabilità e ad accettare una politica solidale dell’immigrazione, in primo luogo mettendo in pratica la redistribuzione. I governi più lucidi potrebbero presto chiedersi se pur di preservare il mercato unico non sia urgente spiegare alle loro pubbliche opinioni che accogliere qualche decina, centinaia o migliaia di profughi (a seconda della taglia dei paesi) è dopotutto il male minore.
(Nella foto Reuters, camion dell’esercito sloveno nel villaggio di Veliki Obrez, alla frontiera con la Croazia, l’11 novembre scorso)