Lo scandalo che sta colpendo Volkswagen ha dell’incredibile. La casa automobilistica avrebbe modificato con un software il funzionamento del motore delle automobili vendute negli Stati Uniti in modo che durante i test anti-inquinamento avrebbero prodotto meno emissioni nocive. Non siamo dinanzi a un errore tecnico o al tentativo colpevole di risparmiare su alcune parti meccaniche, ma davanti a una frode, ai danni delle autorità americane e dei consumatori americani. Nello stesso modo in cui la Grecia ha truccato i conti pubblici per entrare nella zona euro, Volkswagen ha truccato i motori delle sue automobili per apparire meno inquinante e attirare nuovi clienti in un momento in cui l’ecologia influenza non poco gli acquisti di veicoli. Stamani ho chiamato al telefono alcuni responsabili dell’establishment industriale tedesco. Nessuno ha voluto essere citato, ma tutti hanno ammesso di essere sconvolti dalla vicenda. Uno di questi ha definito lo scandalo “mostruoso”. Un altro si è chiesto come una società possa pensare “nel mondo di Internet di truccare i motori di quasi 500mila automobili e di farla franca”. Un altro ancora mi ha detto: “Non capisco… Mi mancano le parole…”. La loro reazione, sorpresa e addolorata, mi è sembrata genuina. In un paese che ama la tecnologia e adora le macchine, lo scandalo pesa sull’intera popolazione. Volkswagen è certamente uno dei simboli della Germania del dopoguerra, nel bene e nel male. In una società sui generis, la gestione aziendale è demandata a un trittico insolito: il Land della Bassa Sassonia, il sindacato IG Metall, e le famiglie Porsche e Piëch. Da decenni, la mano pubblica continua ad avere un ruolo nella prima casa automobilistica europea. La regione della Bassa Sassonia controlla oltre il 12% del capitale (e il 20% dei diritti di voto). Il resto è sul mercato, o in mano alla Qatar Holding e alle famiglie Piëch e Porsche. Negli ultimi due decenni, Ferdinand Piëch, nipote di Ferdinand Porsche, è riuscito nel suo intento di raggruppare sotto a uno stesso tetto Porsche e Volkswagen, e di trasformare una società europea in un gruppo mondiale. Per farlo, l’uomo si è appoggiato tra le altre cose sull’IG Metall, il sindacato metalmeccanico, al centro di uno scandalo appena 10 anni fa che forse può offrire spiegazioni sulla vicenda di questi giorni. Esponenti di primo piano di IG Metall, che siede in quanto rappresentante dei lavoratori nel consiglio di sorveglianza della società, accettarono tangenti in natura – viaggi e prostitute – da parte della dirigenza della società per poi dare il loro benestare a scelte industriali, in un momento di difficoltà dell’azienda. La vicenda ha fatto trasparire i legami inconfessabili tra dirigenti e sindacati, mentre la classe politica girava la testa dall’altra parte. Piëch, 78 anni, è stato dal 1993 al 2002 presidente del consiglio di gestione della società e dal 2002 al 2015 presidente del suo consiglio di sorveglianza. Rita Stiens, autrice di una sua biografia, lo definisce “un manager e un ingegnere geniale”. Non vi sono dubbi; ma dallo stesso volume traspare come l’uomo sia anche senza scrupoli: “Vi sono vincitori e vinti – disse un giorno -. Il mio obiettivo è di essere un vincitore”. La sua carriera è stata segnata da una serie clamorosa di siluramenti. Al di là della strenua concorrenza internazionale, che in altri campi – la finanza per esempio – ha portato a comportamenti criticabili se non penalmente perseguibili, lo scandalo VW ha radici particolari. Piëch non ha mai nascosto di essere insoddisfatto, anche personalmente sconfortato dai deludenti risultati di Volkswagen negli Stati Uniti. Disse a Bloomberg nel 2013: “Capiamo l’Europa, capiamo la Cina, capiamo il Brasile, ma non capiamo completamente gli Stati Uniti”. E’ difficile imputare il trucco di VW sul mercato americano alla sola scelta di Piëch, ma certamente quest’ultimo ha trasmesso al personale della società un incredibile senso della competizione internazionale e uno straordinario desiderio di dominare il mercato. Dietro allo scandalo si nasconde poi una società segnata da un governo aziendale inclassificabile, che da un lato contribuisce a forme di irresponsabilità e dall’altro induce sorprendenti forme di devozione al padre-padrone.
(Nella foto, Martin Winterkorn, 68 anni, attuale presidente del consiglio di gestione di Volkswagen)