Le città sono spesso vittime della loro immagine, ostaggio della loro storia. Per molti, Liegi non è altro che una delle tristi capitali della siderurgia europea, alla stregua di Manchester o di Essen: nera di lignite, bagnata dalla pioggia e sfigurata dalla guerra. Oggi, il carbone è sinonimo di povertà e disoccupazione. Ieri, era fonte di ricchezza, e anche di dinamismo culturale. La mostra intitolata «L’art dégénéré selon Hitler», che si è appena aperta in un nuovo centro museale nella città sulla Mosa, smentisce molti luoghi comuni ed è uno straordinario scorcio in un periodo travagliato della storia europea.Per la prima volta, i curatori dell’esposizione hanno raccolto opere che il regime nazista considerava entartete Kunst, arte degenerata, e che furono vendute all’asta nel 1939 a Lucerna, appena poche settimane prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale e dell’invasione del Belgio da parte della Wehrmacht. A sorpresa, tele di Marc Chagall e Paul Gauguin, James Ensor e Oskar Kokoschka furono acquistate dal comune di Liegi. Insieme ad altri reperti di quella vendita, sono oggi esposte alla Cité Miroir, una ex piscina comunale degli anni Trenta trasformata in museo dopo dieci anni di lavori nel centro della città vallona.
Secondo il curatore dell’allestimento Jean-Patrick Duchesne, «organizzare una tale esposizione equivale talvolta a una inchiesta poliziesca». Molte opere sono infatti finite in collezioni private, sempre più difficili da rintracciare. Poco importa: la mostra è il riuscito tentativo di ricordare la vicenda, e proietta una luce insolita su Liegi, una città che ha dato i natali a Georges Simenon così come ai registi Jean-Pierre e Luc Dardenne e che Jacques Brel definiva «la più folle del Belgio», segnata da «una specie di follia aerea che provoca gli anarchici, ma anche i poeti». Nella terra dei surrealisti, il giudizio nascondeva un complimento.
Il regime nazista considerava l’espressionismo e l’impressionismo stili incompatibili con la purezza della razza ariana. Prostituzione, omosessualità, pornografia erano raffigurazioni bandite, esattamente come tutto ciò che poteva «danneggiare il sentimento del popolo tedesco», secondo Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda. Fin dalla metà degli anni Trenta, il governo si adoperò per selezionare nelle collezioni dei musei tedeschi quadri, statue e altre opere d’arte inaccettabili secondo i canoni artistici del Terzo Reich. Una mostra-denuncia si tenne nell’Istituto archeologico di Monaco nel 1937: seicento opere in dieci sale.
Successivamente, il regime tradì i suoi principi e permise ad alcuni mercanti di acquistare con valuta straniera numerosi dipinti. Così fece Hildebrand Gurlitt, l’uomo salito alla ribalta delle cronache nel 2012 quando la Germania venne a scoprire che l’appartamento a Monaco del figlio Cornelius era una galleria d’arte, ignota agli amanti dell’espressionismo così come ai funzionari del fisco. Bisognoso di moneta sonante per finanziare il riarmo del paese, il regime nazista decise nel 1939 di vendere all’asta alcuni dipinti. Qualche anno dopo lo stesso avrebbe fatto la polizia segreta della Ddr, dopo aver requisito le collezioni private dei suoi cittadini.
Secondo i giornali dell’epoca, all’asta organizzata dalla Galleria Theodor Fischer nel Grand Hôtel National di Lucerna il 30 giugno 1939 parteciparono circa 300 invitati, tra cui il commerciante francese Pierre Matisse, il collezionista svizzero Emil Bührle, il regista austriaco Josef von Sternberg, ma anche rappresentanti di musei americani, inglesi, francesi e belgi. La città di Liegi vi partecipò in forze dopo aver raccolto non meno di cinque milioni di franchi belgi provenienti da donazioni private e dal comune. La vendita iniziò alle 14:15 di un venerdì, in «un’atmosfera», secondo un giornalista presente, «di concorso di tiro».
Il catalogo d’asta elencava 109 dipinti e 16 sculture di 39 artisti. Solo 85 pezzi furono acquistati, di cui nove dalla città belga. Il comune di Liegi si aggiudicò tra gli altri La maison bleue di Marc Chagall (1920), La mort et les masques di James Ensor (1897), Monte-Carlo di Oskar Kokoschka (1925), Portrait de jeune fille di Marie Laurencin (1924), Le déjeuner di Jules Pascin (1923), La famille Soler di Pablo Picasso (1903), e Le sorcier d’Hiva Oa di Paul Gauguin (1902). La Cité Miroir raggruppa in tutto una trentina di opere provenienti dalla vendita di Lucerna, tra cui dipinti anche di Lovis Corinth e Karl Hofer.
La vicenda racconta meglio di altre la storia di Liegi, dal carattere indipendente, se non addirittura anarchico. Dietro all’iniziativa svizzera si nasconde una città che si arricchì sfruttando fin dal Settecento le miniere di carbone. A differenza di altri centri della Vallonia, Liegi fu nei primi anni del Belgio orangiste e non rattachiste: non voleva la riunificazione con la Francia, ma la nascita di uno stato belga. Negli anni 1880, fu teatro dei primi movimenti sindacali. Nel 1950, senza successo, la città votò contro il ritorno delle funzioni costituzionali a Re Leopoldo III, a cui si rimproverava di avere firmato la resa nei confronti dei tedeschi nel 1940.
Alla fine degli anni Trenta, la cité ardente, come viene chiamata in Belgio, si stava scrollando di dosso le ferite della Grande Depressione, nel tentativo di ritornare ricca e prospera, prima di subire nel secondo dopoguerra un ineluttabile declino. Proprio nel 1939, anno della vendita in Svizzera, la città addossata alla frontiera tedesca fu collegata al mare con il Canale Alberto, lungo 130 chilometri. Qualche anno prima, nel 1930, Liegi ospitava una grande esposizione internazionale per celebrare il centenario della nascita del Belgio e i successi della sua industria. Visitata da sei milioni di persone, la manifestazione accolse venti paesi espositori. La decisione di partecipare all’asta di Lucerna, spiegò ai tempi l’assessore alla cultura Auguste Buisseret, era il tentativo di fare di Liegi «un centro d’arte aperto a tutte le correnti dell’estetica moderna». C’è chi protestò all’idea che nell’acquistare opere d’arte i collezionisti stessero finanziando il Terzo Reich. Altri ribatterono che partecipare all’asta era l’unico modo per salvare quadri e sculture, e ricordarono che nel marzo del 1939 il regime hitleriano aveva organizzato un gigantesco autodafé nel cortile di una caserma di Berlino, bruciando migliaia di dipinti. È facile nel catalogo della mostra rendere merito alla preveggenza degli amministratori di allora.
L’art dégénéré selon Hitler, Liegi, Cité Miroir, fino al 29 marzo 2015. www.citemiroir.be