Un sondaggio Eurobarometro pubblicato questa settimana rivela che vi è stato un forte aumento dell’euroscetticismo in Italia. Il paese non è più il primo della classe nella classifica dell’europeismo. Addirittura le persone che considerano la moneta unica “una cattiva cosa” sono il 47%. Chi invece ritiene l’euro “una buona cosa” è pari al 43% del totale degli interpellati. Italia e Cipro sono i due soli paesi della zona euro su diciotto ad avere una maggioranza di euroscettici (in mancanza di un sostantivo migliore). A sorpresa, paesi che hanno sofferto maggiormente della crisi debitoria – accettando straordinarie misure di austerità – considerano positivamente l’euro. In Irlanda, le persone che ritengono la moneta unica una buona cosa sono il 76%, in Grecia il 59%, in Spagna il 56%, in Portogallo il 50%. Rispetto al sondaggio precedente, effettuato dodici mesi fa, la percentuale di euroscettici è salita in Italia di nove punti percentuali (è scesa in tutti gli altri paesi appena citati). I motivi sono molti. In alcuni stati, come la Grecia, l’euro è visto come lo strumento che nonostante tutto ha permesso al paese di uscire da uno storico isolamento. Tuttavia, l’impressione è che la crisi economica e finanziaria abbia raggiunto in Italia nuovi picchi. La stagnazione economica sta mettendo a durissima prova non solo il tessuto industriale, ma la stessa struttura sociale. Non mi riferisco all’elevato tasso di disoccupazione. La crisi, prima finanziaria, poi debitoria, ora economica, ha prosciugato il patrimonio nazionale che per decenni centinaia di associazioni di categoria, ordini professionali, gruppi di pressione e altri legami familistici si sono spartiti, provocando tra le altre cose un aumento del debito pubblico, diventato negli anni lo strumento con cui distribuire prebende e difendere monopoli. In un altro contesto, l’Italia avrebbe affrontato la crisi, tra le altre cose, svalutando la propria moneta. Oggi non solo non può agire sulla sua valuta; ma per di più, su richiesta dei suoi partner europei, deve risanare i conti pubblici e soprattutto riformare la sua economia, rimettendo in questione i vari diritti acquisiti accumulati in questi decenni.Anziché spiegare all’opinione pubblica che il sistema passato ha i giorni contatti, la classe politica – anche quella che cerca di riformare il paese – non passa giorno senza criticare l’Europa. Che una maggioranza di italiani oggi consideri l’euro negativamente non deve sorprendere. Alla moneta unica attribuisce le sue difficoltà ad accettare il cambiamento, peraltro non spiegato particolarmente bene da una fetta importante dell’establishment nazionale incerto esso stesso se volere o meno il cambiamento, perché rimetterà in dubbio le sue stesse prerogative. In questo contesto, criticare Bruxelles, la Commissione e l’Europa permette probabilmente ad alcuni leader di rafforzare la loro popolarità personale. Ma il rischio è di contribuire all’euroscetticismo fino al punto che riformare l’economia diventerà sempre più difficile, se non impossibile. Perché cambiare se critichiamo coloro che ci chiedono di cambiare?
(Nella foto, il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi in un momento del Consiglio europeo del 23-24 ottobre qui a Bruxelles)