Lo sconquasso francese è il piatto forte della scena europea in questi mesi, tra frenata economica, debito elevato, e soprattutto crisi politica. Della grave situazione, si cercano spesso i motivi e le radici nell’economia. La tesi dominante è che il paese abbia un tessuto economico invecchiato, e che la crisi finanziaria stia spingendo molti francesi a rifugiarsi nel voto conservatore e nazionalista del Fronte Nazionale. Tuttavia, dietro al successo del partito di Marine Le Pen, forse si nascondono motivazioni che vanno ben oltre la situazione economica. In crisi è il modello sociale. A differenza di altri paesi, in Francia vige o meglio vigeva l’assimilazione, più che la semplice integrazione dell’immigrato. Tradizionalmente, la scuola ha sempre avuto il compito di formare il cittadino, trasmettendogli les valeurs de la République, i valori della Repubblica, in primo luogo la laicità dello Stato. Un sistema educativo di grandes écoles apre le porte dell’élite francese anche ai nuovi arrivati. In Francia, l’immigrato è destinato ad abbandonare la propria cittadinanza d’origine, non necessariamente la religione. Anzi, proprio la laicità protegge musulmani, ebrei e protestanti dalla dominazione della Chiesa cattolica. La doppia cittadinanza è tradizionalmente limitata a casi molto specifici, legati allo ius sanguinis. “Non c’è civiltà francese senza l’accesso agli stranieri”, diceva lo storico Fernand Braudel. Spesso neppure un francese si rende conto di quanto gli immigrati abbiano modellato il loro paese soprattutto negli ultimi due secoli. Il Dictionnaire des étrangers qui ont fait la France, pubblicato nel 2013, è un bell’affresco di una Francia poco conosciuta (anche se la selezione appare ogni tanto un po’ sorprendente–vi scopriamo addirittura Pablo Picasso ed Ernst Hemingway). Ciò detto, Marie Curie era nata russa a Varsavia nel 1867; Le Corbusier svizzero a La Chaux-de-Fonds nel 1887; Georges Moustaki egiziano ad Alessandria nel 1934. Il vincitore del primo Giro di Francia, Maurice Garin, era nato italiano in Valle d’Aosta nel 1871. Per non parlare di Emile Zola, Yves Montand e Pierre Cardin. Oggi in crisi è proprio la politica di assimilazione. In un mondo nel quale la globalizzazione ha sconvolto abitudini e radici, uno straniero in Francia non ha più lo stesso incentivo di prima a diventare francese dalla radice dei capelli alla punta dei piedi. D’altro canto, un cittadino moderno vive a cavallo tra diversi paesi. Non solo viaggia molto più di prima. C’è chi ha un figlio che studia all’estero; chi lavora in un paese diverso dal proprio; chi è frutto o partner di un matrimonio misto. Per non citare il ruolo di Facebook e delle reti sociali. Se prima un immigrato era costretto a lasciare per sempre il proprio paese di origine, fosse solo per le difficoltà di comunicazione, oggi non c’è abbandono permanente. Anzi, agli occhi di molti immigrati il processo di assimilazione alla francese è ormai ritenuto una costrizione più che una opportunità, portatore di ingiustizie più che di diritti. Il risultato è che la società francese ha perso un collante cruciale. Le divisioni sociali vanno ben oltre i ghetti di alcune cité-dortoirs nelle periferie delle grandi città. Non è probabilmente un caso se la Francia ha il più elevato numero di jihadisti in Europa. In un contesto di recessione economica e di ristrettezze finanziarie, l’incertezza provoca tensioni e malumori, tanto da trasformare il voto per il Fronte Nazionale nel rifugio di molti: il partito non attira più solo ex pieds-noirs che non si sono ancora rassegnati all’indipendenza algerina o ex gollisti che non si sono ancora rassegnati alla scomparsa del Generale. Il movimento nazionalista è uscito dal limbo politico nel quale i partiti tradizionali erano riusciti a confinarlo finora. Paralizzati dall’ombra minacciosa di Marine Le Pen, i grandi partiti popolari tentennano nel mettere mano alle cause più congiunturali della crisi francese. Qualsiasi riforma diventa fonte di nuove tensioni in una società già messa a dura prova dalla crisi del processo di assimilazione. Il paradosso è che proprio la crisi di questo principio repubblicano giunge mentre il primo ministro della Francia e il primo cittadino di Parigi sono figli spagnoli dell’immigrazione alla francese. Manuel Valls è nato a Barcellona nel 1962, Anne Hidalgo è nata a Cadice nel 1959.
(Nella foto, Anne Hidalgo, prima donna a diventare sindaco di Parigi, nel 2014. E’ nata a Cadice nel 1959. I suoi genitori sono arrivati in Francia dalla Spagna nei primi anni 60 per cercare lavoro. In un primo momento hanno vissuto a Lione)
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