Dopo molte divisioni e incertezze, i ventotto paesi dell’Unione Europea hanno trovato ieri un accordo su un insieme di sanzioni economiche contro la Russia che fino a poco tempo fa erano considerate troppo controverse per poter mai vedere la luce. Il pacchetto di misure, il più grave dai tempi della Guerra Fredda, è un esempio di acrobazia politica: doveva assolutamente essere equilibrato per evitare di penalizzare alcuni paesi o alcuni settori rispetto ad altri. Le sanzioni colpiscono le emissioni azionarie e obbligazionarie delle banche pubbliche russe, ma non i prestiti sindacati; i contratti militari ma solo quelli futuri, non quelli già firmati; l’import-export di tecnologia petroliferia, non quella utilizzata per estrarre altre materie prime come il gas, di cui la Russia è un grande fornitore. Resta il fatto che le trattative tra i Ventotto hanno avuto successo, nonostante fughe di notizie ad arte che neppure il divieto perentorio di avere telefoni portatili durante le riunioni è riuscito a ostacolare. L’atteggiamento russo in Ucraina è riuscito (per ora) a unire i Ventotto là dove la crisi siriana o lo sconquasso libico non hanno avuto lo stesso successo. Nel 2011, l’intervento anglo-franco-italo-americano in Libia, con l’obiettivo di provocare la caduta di Muammar Gheddafi, ha provocato gravi tensioni in Europa. La Germania si è rifiutata di seguire i suoi alleati, con una decisione che ha fatto parlare di un nuovo Sonderweg tedesco, di un nuovo cammino solitario di Berlino in politica estera. Nel 2013, i Ventotto si sono accapigliati sull’opportunità o meno di rifornire i ribelli al regime di Bashar el-Assad in armi e di viveri. C’è chi voleva difendere a tutti i costi l’integrità del paese, e preferiva il governo di Assad a una pericolosa divisione della Siria, provocando il ripetersi di quanto era accaduto in Libia pochi anni prima. Sul fronte ucraino, gli stati membri dell’Unione hanno mostrato per mesi incertezze e divisioni, tra i paesi dell’Est favorevoli a sanzioni dure fin da subito per reagire alle ingerenze russe in Ucraina e i paesi dell’Ovest molto più prudenti. In parte perché in cuor loro consapevoli che la guerra civile era stata scatenata anche da scelte europee. Proponendo a Kiev un discusso accordo di associazione, la UE ha dato alla Russia l’impressione di voler minacciare la sua tradizionale zona d’influenza. Dietro alla prudenza di molti paesi dell’Ovest, c’era anche il timore di adottare sanzioni che avrebbero provocato gravi conseguenze negative per l’economia europea, oltre che probabili ritorsioni russe.L’abbattimento dell’aereo malese nei cieli ucraini a metà luglio, con la morte di 298 persone, associato a crescenti pressioni americane, ha tolto i Ventotto dall’impasse. L’emozione provocata nelle opinioni pubbliche nazionali, così come la paura che la sicurezza dei cittadini europei potesse in fondo essere in pericolo, hanno indotto i paesi dell’Unione a cambiare registro e a scegliere la via delle misure economiche, al di là delle colpe reali o presunte di Mosca in questa vicenda. Mi spiegava ieri sera uno dei partecipanti alla riunione di ambasciatori che qui a Bruxelles ha preso la decisione formale di adottare le attese sanzioni economiche: “Non tutti i paesi sono stati felici di approvare il pacchetto così come è stato messo a punto. Alcuni avrebbero voluto ottenere qualcosa in più. Ma tutti hanno capito che bisognava fare uno sforzo. La conversazione è stata segnata da un tono positivo, conciliante. Non vi è stata nessuna voce fuori dal coro. Come ha detto uno degli ambasciatori: ‘Dobbiamo tutti saltare in piscina e tanto vale saltare tutti insieme’. Agli occhi di tutti, la Russia non ha fatto nulla per calmare le tensioni in Ucraina”. Ieri sera il presidente lituano Dalia Grybauskaité ha criticato la scelta di non rendere retroattiva la sanzione in campo militare, ma la sua è sembrata a molti osservatori una reazione a uso e consumo della propria opinione pubblica nazionale, sempre preoccupata dalla politica russa nelle repubbliche baltiche. C’è da chiedersi se il successo europeo ottenuto ieri sia stato facilitato anche da riunioni che si sono svolte negli ultimi giorni a livello tecnico, più che politico. I vertici ministeriali sono preceduti e seguiti da dichiarazioni, tweets e interviste di politici in ingresso e in uscita dai palazzi europei, che aizzano gli animi, provocano il confronto, scatenano speculazioni giornalistiche. Il dibattito è sincopato; i toni eccitati. La massima di Elisabetta I Tudor – “I observe and remain silent” – è spesso disattesa. Costretti invece al silenzio per motivi professionali, i diplomatici dei Ventotto – guidati dalla presidenza italiana dell’Unione – hanno potuto lavorare nella (quasi) discrezione, smussando più facilmente gli angoli e trovando finalmente una intesa. Per un attimo, l’Europa è tornata ai tempi in cui i mezzi di comunicazione, piacevolmente lenti, consentivano al diplomatico una autonomia di giudizio e un margine di manovra rispetto alla sua capitale che oggi nel mestiere esistono sempre meno. Anche se fughe di notizie non sono mancate, nonostante gli accorgimenti previsti: nelle quattro lunghe riunioni tra gli ambasciatori che si sono tenute negli ultimi giorni, i partecipanti sono stati costretti a lasciare portatili e cellulari in apposite casseforti fuori dalla sala. Tensioni probabilmente sono solo sopite. Non solo le scelte europee di politica estera devono essere prese all’unanimità, un esercizio sempre difficile, ma è probabile che la Russia cercherà di dividere i Ventotto adottando ritorsioni mirate. E’ di oggi l’annuncio del blocco di importazioni russe di frutta e verdura polacche. Almeno ieri, però, l’Unione ha saputo dimostrare una certa unità.
(Nella foto, un ritratto di Elisabetta I Tudor di Quentyn Metsys il Giovane)