Finché prevarrà la diffidenza reciproca difficilmente Italia e Germania riusciranno ad affrontare serenamente le difficoltà dell’unione monetaria. Ancora una volta le ultime settimane hanno dimostrate quanto i due paesi siano lontani culturalmente l’uno dall’altro. Il capogruppo popolare al Parlamento europeo Manfred Weber e il presidente della Bundesbank Jens Weidmann hanno criticato aspramente il governo Renzi proprio mentre l’esecutivo italiano cerca di trovare un nuovo equilibrio tra risanamento dei conti pubblici e rilancio dell’economia europea. Nessuno dei due è stato particolarmente gentile nei confronti dell’Italia. Il primo ha colto l’occasione di un discorso del premier Matteo Renzi dinanzi al Parlamento europeo per ricordare al paese i suoi impegni di finanza pubblica. Il secondo ha esortato l’Italia di adottare riforme economiche più velocemente di quanto non stia facendo. Il presidente del Consiglio ha risposto ad ambedue. Al primo, ha rimproverato di parlare da cittadino tedesco, non da capogruppo parlamentare di un partito europeo. Al secondo, ha spiegato che è un banchiere centrale, non un uomo politico, intimandogli quindi di rimanere al suo posto. Capisco il fastidio di dover fare i conti con un establishment tedesco spesso moralista e professorale. L’Italia è in evidente difficoltà, politica, sociale, economica. Il tono di molti dirigenti tedeschi non aiuta a creare serenità in un paese con il fiato corto, i nervi tesi, e – aggiungerei – la vista corta. Mentre mi aspetto che un corrispondente tedesco in Italia cerchi di mettersi nei panni degli italiani per spiegare il paese ai suoi lettori al di là delle Alpi; per mio conto cercherò di mettermi in una ottica tedesca per capire le posizioni dei nostri vicini. C’è da parte tedesca la sensazione che la richiesta italiana di maggiore flessibilità nella valutazione dell’andamento dei conti pubblici non sia presentata in modo onesto e trasparente. Perché non dire chiaramente che l’obiettivo italiano è di evitare la procedura di debito eccessivo nel 2016, anno nel quale il paese sarà chiamato a ridurre il debito di un ventesimo all’anno? Oppure perché non ammettere altrettanto chiaramente che il pareggio di bilancio nel 2015-2016 non è raggiungibile? Nelle più difficili trattative diplomatiche, l’onestà tra partner – quando si parte da una posizione di debolezza – è probabilmente l’atteggiamento migliore. La richiesta italiana di maggiore flessibilità nell’applicare le regole del Patto di Stabilità scatena invece nei tedeschi immediata diffidenza. Da quando l’Unione monetaria ha visto la luce, il debito italiano è salito di 20 punti percentuali; il paese ha fatto poco per modernizzare la sua economia e la sua amministrazione; e in troppe circostanze–per ammissione anche di molti italiani–ha rinnegato impegni e promesse; nonostante proprio al paese sia stata concessa più volte flessibilità sul fronte dei conti pubblici. Nel 2013, la Commissione europea è venuta incontro all’Italia per valutare favorevolmente l’andamento dei conti pubblici, eventualmente penalizzati dal rimborso alle imprese dei debiti della pubblica amministrazione. Qualcosa è stato fatto, ma proprio negli ultimi giorni il governo ha rinviato due volte, prima a settembre e poi a dicembre, il pagamento di nuovi arretrati. È solo un esempio. Eccone un altro. Nei fatti, la Commissione permette di detrarre dal calcolo del deficit la quota nazionale nei progetti co-finanziati dall’Unione (la decisione è stata presa proprio su pressione dell’Italia e nonostante l’avviso negativo di molti paesi). La possibilità è stata quindi offerta all’Italia alla fine del 2013 a condizione che riducesse il debito pubblico con tagli alla spesa e nuove privatizzazioni. Il governo Letta non ne fu capace, e la clausola non potè essere utilizzata. Poco importa se la detrazione sarebbe stata minima e forse non compensata dallo sforzo richiesto in termini di finanza pubblica: a chi da anni chiede la detrazione degli investimenti dal calcolo del deficit statale conviene mostrare coerenza. Peraltro, come ci si fa a fidare quando la classe politica tiene discorsi diversi a seconda del pubblico a cui parla? A Strasburgo, il 2 luglio, Matteo Renzi ha detto che “l’Italia non vuole ottenere modifiche al Patto di Stabilità”. A Venezia, l’8 luglio, lo stesso Matteo Renzi ha spiegato che “gli investimenti digitali devono essere detratti dal calcolo del disavanzo”, una opzione notoriamente esclusa dal trattato. L’uscita veneziana del premier è giunta mentre a Bruxelles si teneva una riunione dei ministri delle Finanze europei e l’Italia tentava con difficoltà di promuovere la sua richiesta di maggiore flessibilità nel valutare l’andamento dei conti pubblici. Il governo italiano ha certamente colto nel segno quando nota che l’Europa deve rilanciare la crescita economica se vuole ridurre il proprio indebitamento. Tutti i paesi dell’Unione sono d’accordo che sia necessario sostenere la domanda; e la strada del rilancio degli investimenti è probabilmente quella corretta. La presentazione della presidenza italiana dell’Unione da parte del Presidente del Consiglio a Strasburgo la settimana scorsa era l’occasione per spiegare nei dettagli la strategia italiana in questo campo. Invece, il premier ha pronunciato un discorso retorico e immaginifico. I consiglieri diplomatici gli avevano preparato un testo, che ha ignorato preferendo parlare a braccio. Dire che l’Europa ha “il volto della noia” è una frase ad effetto, per certi versi anche brillante, ma il concetto è stato considerato offensivo da molti parlamentari europei e, in particolare, da quelli tedeschi, che vi hanno visto un attacco personale a una Germania che nei clichés italiani è un paese noioso. Affidandosi alle sue qualità retoriche, il premier ha mancato l’occasione per essere concreto e fattuale. Hanno torto i suoi critici a pensare che fosse (anche) un modo per rimanere vago e non prendere impegni? L’establishment tedesco capisce perfettamente che l’Italia ha un drammatico bisogno di entusiasmo giovanile e di stabilità politica, e che Matteo Renzi risponde a questa doppia richiesta. Ma da un paese che (a ragione) chiede maggiore comprensione sul fronte dei conti pubblici e che per di più assume la presidenza semestrale dell’Unione, vorrebbe dati concreti, non immagini retoriche. La deputata liberale francese Sylvie Goulard, la quale non nasconde simpatia nei confronti dell’Italia, ha notato che il discorso del presidente del Consiglio è rimasto nel “vuoto ideologico”. Peraltro, anche sul fronte della richiesta di un rilancio degli investimenti, l’Italia è colpevole. E non solo per il limitato utilizzo dei fondi strutturali (nonostante gli sforzi, la spesa del denaro 2007-2013 è al 58% del totale). Da due anni ormai esiste la possibilità di finanziare obbligazioni a progetto (project bonds in inglese) con l’aiuto della Banca europea degli investimenti. Gran Bretagna, Francia, Spagna e Belgio hanno già utilizzato questa possibilità. L’Italia non ancora (si dice che il primo progetto sia però in arrivo). In ultima analisi, agli occhi dei tedeschi, le posizioni italiane mancano di costanza e coerenza, e quindi di affidabilità. C’è spazio per un esame di coscienza.
(Nella foto, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, 39 anni, durante il suo discorso nell’aula del Parlamento europeo a Strasburgo il 2 luglio 2014)