Nei giorni scorsi – prima all'Aja, poi a Bruxelles, infine a Roma – il presidente americano Barack Obama con molta retorica ha celebrato il legame politico tra Stati Uniti ed Europa (concedendosi alcune critiche solo in risposta alle domande dei giornalisti nelle conferenze stampa). A dire il vero, il rapporto tra i due blocchi non è dei migliori; in questo caso Obama ha rispettato la massima di Talleyrand: "La parola è stata data all'uomo perché mascheri il proprio pensiero". L'ultimo decennio ha mostrato sensibilità diverse: le intercettazioni telefoniche, la lotta al terrorismo, la regolamentazione finanziaria, il risanamento di bilancio, l'andamento delle valute sono tutti temi sui quali americani ed europei si sono criticati a vicenda. In compenso, sul fronte imprenditoriale le relazioni sono cresciute sorprendentemente, a dispetto di un establishment americano mai veramente convinto dell'idea di una unione monetaria. Secondo la Camera di commercio americana a Bruxelles, l'Europa ha attirato il 56% degli investimenti che le aziende americane hanno effettuato all'estero dal 2000 ad oggi. L'anno scorso – in piena crisi finanziaria e mentre il dollaro era ai minimi contro l'euro – l'aumento è stato del 6%. I dati mostrano che ormai le imprese americane guardano più all'Olanda che alla Gran Bretagna, sempre più a Est che a Ovest. Gli investimenti americani sono saliti nei primi nove mesi dell'anno scorso del 103% in Polonia. Il confronto con la Cina è impressionante: dall'inizio del secolo gli investimenti americani nel paese asiatico sono stati pari ad appena l'1,2% del totale. La quota in Olanda, Gran Bretagna e Irlanda è stata rispettivamente 14, 10 e 6 volte più elevata. Sempre dal 2000 ad oggi, le imprese americane hanno investito più in Italia (34,5 miliardi di dollari) che in India (27,7 miliardi di dollari). La presenza americana sul continente europeo è talmente radicata che l'Europa è inevitabilmente un fonte importante di ricavi per le aziende d'oltre-Oceano.
Nel 2012, l'Europa pesava per il 60% delle attività delle imprese americane in giro per il mondo (13.200 miliardi di dollari). La produzione delle filiali americane a livello mondiale ammontava nel 2011 a 1.600 miliardi di dollari; il 48% era generato in Europa. Nel 2012, le filiali statunitensi nel piccolo Belgio hanno prodotto beni e servizi per un totale di 25,5 miliardi di dollari, oltre il 40% in più di quanto le filiali americane abbiano prodotto nella grande India. La Cina è ritenuta da molti osservatori la nuova frontiera dell'economia americana. Eppure, nel 2011 il fatturato delle imprese americane nel paese asiatico è stato di 206 miliardi di dollari; in Francia di 220 miliardi di dollari. "L'Europa è di gran lungo la regione più redditizia al mondo per le aziende americane", riassume nel suo rapporto la Camera di commercio americana a Bruxelles. Dei 50 stati americani, 45 esportano più verso l'Europa che verso la Cina. Dalla costa dell'Oceano Pacifico, la stessa California ha esportato nel 2013 due volte di più verso il continente europeo che verso il paese asiatico. Queste cifre riflettono almeno tre messaggi. Il primo è che la Cina, malgrado il suo successo, resta una cenerentola per l'economia americana. Il secondo è che nonostante la crisi debitoria europea e lo scetticismo di molti economisti nei confronti della moneta unica – Martin Feldstein, Alan Greenspan o Paul Krugman – le imprese americane continuano a scommettere sull'Europa. Forse la loro scelta è dettata più dallo scetticismo per i paesi emergenti che dalla fiducia verso l'Europa. E forse giocano anche i bassi tassi d'interesse dell'ultimo decennio, e quindi l'abbondante disponibilità di liquidità da investire. Per certi versi poco importa. Il terzo messaggio che scaturisce da queste statistiche è che la presenza americana sul continente europeo è tale che la stessa Europa ha tra le mani un potere politico innegabile nei confronti degli Stati Uniti. Ricordarlo a Washington in alcuni casi potrebbe essere utile.
(Nella foto, sfuocata, la calca di giornalisti che si è creata mercoledì 26 marzo nella sede del Consiglio europeo al momento di entrare nella sala stampa dove il presidente Barack Obama ha tenuto la sua conferenza stampa a Bruxelles)
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