Si è tenuta nei giorni scorsi qui a Bruxelles una nuova riunione degli sherpas nazionali chiamati a mettere a punto una riforma della zona euro, con l’obiettivo di rafforzare l’assetto istituzionale dell’unione monetaria e trovare una soluizione strutturale alla crisi debitoria. Qualche mese fa la discussione ha riguardato il coordinamento delle politiche economiche tra stati membri e la dimensione sociale della zona euro. La settimana scorsa i 27 hanno trattato della possibilità di instaurare accordi contrattuali tra governi nazionali e istituzioni europee, associati a meccanismi di solidarietà. L’obiettivo è di consentire al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy di presentare al vertice europeo di giugno un rapporto. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 l’idea di un rafforzamento dell’integrazione della zona euro era al centro del dibattito europeo. Poi con la calma relativa dei mercati la questione è entrata in un limbo. “Speriamo di fare solo del surplace, e non addirittura un passo indietro”, diceva sconsolato qualche giorno fa un alto diplomatico di un paese membro. La riunione di giovedì scorso è stata interlocutoria. Per vari motivi i paesi stanno avanzando al rallentatore. In Italia viene facile imputare questa tendenza alla Germania, e alle prossime elezioni tedesche che indurrebbero il governo federale a evitare scelte troppo ambiziose perché controverse presso l’opinione pubblica tedesca. Ho l’impressione che questo aspetto sia solo una delle ragioni per cui su questo fronte i progressi sono lenti o peggio inesistenti. Per molti versi, la recente tranquillità dei mercati è agli occhi di molti paesi una giustificazione per evitare di camminare spediti verso un trasferimento della sovranità nazionale dalla periferia al centro. Certamente, la Germania è fredda in questo momento nell’affrontare temi che potrebbero influenzare l’opinione pubblica tedesca a cinque mesi dalle prossime elezioni federali. “La verità – spiega però un negoziatore europeo – è che nessun governo è pronto a impegnarsi. C’è la tendenza rinviare”.
Il confronto è sempre tra una Germania che condiziona la solidarietà tra
i paesi a una cessione di sovranità, e una Francia che chiede solidarietà e mutualizzazione dei debiti, ma è
cauta quando si tratta di trasferire competenze nazionali al centro. Ancora
recentemente parlando a Berlino durante un evento organizzato da Deutsche Bank,
il cancelliere Angela Merkel ha spiegato: “Dobbiamo essere pronti ad accettare
che l’Europa abbia l’ultima parola in alcuni campi. Altrimenti non saremo
capaci di continuare a costruire l’Europa“. Nota il mio interlocutore: “Parigi non
presenta alcuna idea innovativa sul fronte dei meccanismi di solidarietà.
Potrebbe per esempio proporre di usare a livello europeo il gettito di una
prossima tassa sulle transazioni finanziarie, o di mettere in comune il denaro
tratto da una nuova imposta sul valore aggiunto (IVA). Proposte ambiziose
sarebbero un modo per mettere la Germania contro il muro e indurla a prendere
posizione. A quel punto però la Francia rischia di essere costretta a
sottoscrivere il federalismo. In realtà, Parigi non è pronta ad accettare le
conseguenze politiche di una maggiore solidarietà europea”. Il motivo
principale è che attualmente la Francia si sente in una posizione subalterna
nei confronti della Germania, per ragioni economiche e politiche. Sottoscrivere
oggi una cessione di sovranità significherebbe per Parigi accettare nei fatti
la posizione dominante di Berlino. Molti altri paesi si nascondono dietro alla
Francia, in primo luogo l’Italia. “Da un anno il governo italiano ci dice che il
paese è in piena crisi politica – spiega ancora il negoziatore europeo –, e che
non può più di tanto prendere posizione nel Consiglio. Ormai non ci crediamo
più”. Il sospetto è che l’Italia tema anch’essa lo
scambio proposto dalla Germania: più solidarietà in cambio di meno sovranità.
Il timore non riguarda, come per la Francia, gli equilibri politici con la
Germania, quanto piuttosto le conseguenze che lo scambio avrebbe sul quieto vivere
italiano. Il federalismo europeo rimetterebbe in dubbio la rete di sussidi, monopoli, oligopoli, clientelismi
e familismi, piccoli e grandi, che caratterizzano la società italiana e di cui
l’elevato debito pubblico è una delle ragioni. Nei prossimi mesi capiremo se il
nuovo governo di grande coalizione guidato dal premier Enrico Letta, pungolato al
fianco dal Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, sarà pronto a mettere mano ai
grandi mali italiani. Nel caso, forse la Germania potrebbe contare a quel punto
su un alleato oggi insperato.
(Nella foto, il cancelliere federale Angela Merkel, ritratto durante un evento organizzato da Deutsche Bank il 22 aprile a Berlino)
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